domenica 26 giugno 2011

Sei un trifoglio o un quadrifoglio?

Un manager, mentre stava conversando animatamente al telefono, si infilò nei giardini di via Palestro a Milano. Quando terminò la sua difficile conversazione si accorse che nella stessa panchina vicino a lui si era seduto un vecchio, che mormorò: "era solo un trifoglio".

All'inizio il manager pensò che si riferisse all'erba, ma nei giardini di via Palestro le panchine sono posate sulla ghiaia. Fu allora che si accorse che si stava riferendo proprio alla sua telefonata. Il vecchio aggiunse: "ha sicuramente parlato con un trifoglio" Il manager lo guardò incuriosito, e quello continuò: "nella vita le persone si dividono in due categorie, i trifogli e i quadrifogli. I primi non portano fortuna. Non sono necessariamente cattivi, solo che ad incontrarli non cambia niente nella tua vita. I trifogli pensano a se stessi, non fanno sforzi particolari per venirti incontro. I quadrifogli invece cambiano un po' la tua vita, ed incontrarli ti porta sempre un po' di fortuna. Sono coloro che cercano, nelle grandi come nelle piccole cose, di portare un vantaggio a chi gli sta intorno. Solamente che sono più rari, ci sono molti più trifogli di quadrifogli".

Il manager pensava che stesse vaneggiando. Il vecchio se ne accorse, e fu ancora più preciso. "Ho visto, più che ascoltato, la sua telefonata. Ho visto che lei cercava di spiegarsi, ma dall'altra parte c'era un muro e ad un certo punto lei ha desistito. Così ho capito che aveva semplicemente trovato un trifoglio".

A questo punto il vecchio cominciò a recitare una poesia. Il manager sulle prime stava per andarsene, poi fu catturato dalle sue parole e stette lì ad ascoltarlo. Quando la poesia fu terminata, il vecchio si alzò e lo salutò. Il manager per ringraziarlo della compagnia gli disse: "sembra che abbia trovato un quadrifoglio, adesso". Il vecchio sorrise e si girò. Fu allora che il manager gli chiese: "Un attimo, ma secondo lei io cosa sono, un trifoglio o un quadrifoglio?".

Il vecchio allora si girò nuovamente verso di lui e prima di andarsene gli rispose: "Qui sta il bello, se sei trifoglio o quadrifoglio lo decidi tu".


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sabato 25 giugno 2011

Che sfortuna, approfittane!

Ne approfittiamo quando... dobbiamo tornare a casa, un amico passa di lì e ci dà un passaggio. Quando al supermercato troviamo qualcosa che compriamo abitualmente, in sconto. Quando, visto che troviamo un interlocutore positivo e favorevole, gli diciamo anche qualcosa che sappiamo non gli farà piacere. E così via con mille altri esempi.

Insomma, lo schema è sempre quello: casualmente troviamo una situazione che facilita il raggiungimento di un obiettivo e la cogliamo al volo. In altre parole: la situazione è positiva e ne approfittiamo.

Ma cosa siamo soliti fare con le situazioni negative? Esattamente il contrario, rifuggirne. In altre parole, acceleriamo la nostra azione in un contesto positivo, la freniamo in uno negativo. Così, se ad esempio devo dire qualcosa di spiacevole e l'interlocutore non mi mostra apertura, ci rinuncio.

Troppo facile "approfittarsi" di situazioni fortunate. Io ti propongo un salto di qualità: "approfittarsi" di situazioni sfortunate.

Sì, qualsiasi situazione difficile o di crisi può diventare, proprio perché implica una scossa, un cambiamento, una situazione di cui ci si può approfittare. L'altro giorno ho sperimentato un momento di tensione con una persona. Il rapporto si sarebbe rovinato se avessi mantenuto un profilo basso, cosa che solitamente viene spontaneo fare. Invece ho alzato la posta, aperto una crisi, sono andato fino in fondo. Insomma, ne ho approfittato per fare chiarezza, per affrontare argomenti critici, per operare un confronto franco e aperto.

Risultato? Il nostro rapporto professionale ne è uscito più solido di quando abbiamo iniziato a collaborare. Se abbiamo il coraggio di approfittare di situazioni difficili, il risultato è ancora più premiante.

Approfittane anche tu, ma non essere banale: dei colpi di fortuna sono capaci tutti, è su quelli di sfortuna che ti voglio vedere all'opera!



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venerdì 24 giugno 2011

Lasciagli il suo giocattolo!

In questi giorni si è verificato un episodio che mi ha riportato alla mente una situazione che ho vissuto alcuni anni fa.

Gestivo un progetto per un grosso cliente. Il progetto andava bene ma, come spesso succede, presso quell'azienda cambiò l'interlocutore e la nuova responsabile, poiché odiava il collega che ci aveva scelti, ci tolse il progetto.

Quando raccontai la situazione al mio migliore amico, davanti ad una pizza ed una birra, ero comprensibilmente depresso. Quello mi ascoltò con attenzione e quando finii di parlare, dopo un attimo di silenzio, con una tranquillità disarmante mi disse "Lasciagli il suo giocattolo". Pensai di non avere capito bene, e me lo feci ripetere. "Lasciagli il suo giocattolo", mi disse di nuovo. "Tu sei molto più di quel progetto". "Quella se lo vuole tenere? Se lo tenga".

Ero meravigliato. Mi aspettavo che un amico mi consigliasse di lottare fino alla morte per riavere ciò che ritenevo un mio diritto, ed invece mi suggeriva il contrario. "Non vale la pena di perdere tempo rimpiangendo un progetto che non ti vogliono più dare. Lasciaglielo: se ne pentiranno. E se non se ne pentono, comunque a te importa poco, a questo punto. Si, perché se rivogliono il loro giocattolo, a te non interessa più. Avrai l'opportunità di dedicarti ad altri giocattoli!"

Quella sera tornai a casa molto più sereno. Il mio amico mi aveva fatto comprendere come, alla fine, tutto ciò che ci sembra così importante in realtà non lo è. Qualsiasi cosa riteniamo preziosa è un giocattolo che possiamo lasciare, se qualcuno usa il suo potere per portarcelo via.

Ecco perché, quando pochi giorni fa la cosa si è ripetuta, quando con doppiezza e falsità si sono appropriati di un progetto su cui abbiamo lavorato sodo, ho pensato, con serenità: "tenetevi il vostro giocattolo".

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giovedì 23 giugno 2011

Aspetta un secondo!

L'altra mattina ero in casa e stavo facendo tre cose contemporaneamente. Suona la sveglia del Blackberry e mi precipito a spegnerlo. Poiché avevo le mani bagnate, ho rischiato di rovinarlo per niente. Se avessi aspettato un secondo in più, avrei trovato una soluzione migliore. Ce ne potevano essere a decine. Solo che, in quel momento, non ci ho pensato: mi sono venute in mente subito dopo.

Un secondo in più avrebbe fatto la differenza fra una soluzione ed una soluzione buona. Non erano necessari processi di pensiero complessi e tecniche di problem solving particolari. Bastava soltanto lasciare alla mente un secondo in più di tempo. Lei avrebbe fatto tutto da sola e lo avrebbe speso bene.

Pensiamoci: tendiamo a reagire alle situazioni buttandoci verso l'obiettivo e dando per scontato che ciò che stiamo facendo sia l'unico modo per raggiungerlo. E se invece aspettassimo un secondo in più?


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