lunedì 12 dicembre 2011

Hai il sarto giusto?

Tutti i giorni parlo con le persone di sviluppo professionale e di desideri da realizzare. Nella maggior parte dei casi però l'attenzione è concentrata su ciò che manca, su ciò che si può ottenere e che non si ottiene, su cosa si può rivendicare. In altre parole, le persone desiderano più soldi per quello che fanno, più visibilità, più riconoscimenti. Partono dalla considerazione che i risultati siano stati già raggiunti, e che debbano solo essere riconosciuti.

Queste persone si sono scelte il sarto sbagliato o, peggio, non hanno scelto nessun sarto.

Pochi invece sanno, o hanno il coraggio di riconoscere, che i risultati sono frutto del proprio talento. Ma il talento non basta. Il talento è come la stoffa: da sola non fa l'abito. La stoffa deve essere tagliata, lavorata, cucita. Solo un sarto abile ricava un buon abito da una buona stoffa.

Ecco perché, invece di stare lì a lamentarti di cosa non ottieni dagli altri, devi invece domandarti se hai affidato la tua stoffa ad un buon sarto.

Non chiederti se il tuo lavoro viene valorizzato, domandati se hai un buon coach che sta lavorando per valorizzare il tuo talento. Domandati quanto stai crescendo. E se non hai risposte o se la risposta è negativa, cercati un buon sarto.

I riconoscimenti nel breve non contano, rispetto alle possibilità che nel lungo periodo ti possono dare le tue capacità, ma solo se ben sviluppate.

Attento al sarto a cui dai la tua stoffa: ha in mano il tuo futuro.



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domenica 6 novembre 2011

Tre cose da imparare dai bambini: 3

I bambini trovano sempre divertimento in ciò che fanno.

I bambini si divertono sempre. Certo, dirai, fanno quello che vogliono, giocano, non hanno pensieri per la testa, hanno un sacco di tempo. Semplice divertirsi se puoi giocare.

Nulla di più falso. Prova a pensare a tutte le situazioni in cui il tempo ce l'avresti avuto ma non ti sei divertito.

Guarda un bambino, se vuoi imparare la da lui. Trasforma tutto in un gioco. Ho ancora in testa le parole del mio nipotino Simone, di quando era piccolo, mentre cercavo di togliergli dalle mani una pentola: "Si, può essere un gioco!"

E' sbagliato pensare che uno si diverte perché gioca. In realtà uno gioca perché si diverte in quello che fa. 
Per un bambino tutto può essere un gioco perché in tutto trova la parte di curiosità, divertimento, sperimentazione. Allora perché non può esserlo per te?

Fai un lavoro che non ti piace? Impara dai bambini. Fattelo piacere. Oppure cambialo: i bambini non fanno qualcosa che non gli piaccia.

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sabato 5 novembre 2011

Tre cose da imparare dai bambini: 2

Secondo: i bambini insistono per ottenere le cose

Avete mai visto un bambino di tre anni quando vuole qualcosa? E' una vera forza della natura. Non molla finché non l'ha ottenuta.

Chiede, richiede, chiede ancora, ancora e ancora. Sembra non volere mai smettere. Se necessario strilla, scalpita, scuote. E alla fine ottiene sempre ciò che vuole.

La cosa che più colpisce di un bambino quando vuole qualcosa è la determinazione ad averla: sembra veramente che non gli passi nemmeno per la testa di non ottenerla.

Ora, se da adulti avessimo la metà di questa determinazione, questo basterebbe per ottenere risultati straordinari.

Certo, so cosa stai pensando Un bambino ottiene le cose dai suoi genitori, perché li porta a sfinimento. Mica posso fare così con il capo, con un collega, con un cliente.

Mica ti dico di fare come il bambino. Ti dico di avere la stessa determinazione ed insistenza del bambino. Con una strategia da adulto: prima chiedi, poi richiedi in modo diverso, poi butta lì, poi manda una mail, poi fai una telefonata... Insomma, inventati mille modi per insistere senza diventare sfinente ed invadente.

Prova a farci caso: quando vuoi qualcosa fai un paio di tentativi e poi molli. Se dovessero fare come te, i bambini starebbero senza patatine. senza macchinine, senza cartoni animati. Dunque fai come loro: insisisti un po' di più!

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Tre cose da imparare dai bambini: 1

Primo: i bambini dicono quello che pensano

E non si fanno troppi problemi nel farlo.

Certo, penserai, sono giustificati perché sono bambini. Fanno anche delle gaffes maledette ma nessuno gliele fa pesare.

Un momento, andiamo per ordine. Il punto che sto ponendo è che dicono quello che pensano, non se lo tengono dentro. Non si rodono. Non si rovinano i fine settimana rimuginando sul fatto che "a quel tizio bisognerebbe dirne quattro ma come si fa, non si può certo farlo".

Lo fanno e basta.

Su questo concordi? Bene. Sei d'accordo che dire le cose fa bene alla propria salute. Ora veniamo al secondo problema: la conseguenza dell'averle dette. Se sei d'accordo che sarebbe meglio dirle ma non le dici è perché hai paura delle conseguenze. Quindi il problema è la paura. Qui non ti posso aiutare: rinunciare significa far vincere la paura.

Su una cosa posso essere d'accordo: il bambino è giustificato anche se è un po' brutale, l'adulto no. Perciò le cose devi dirle, ma devi dirle bene. Per esempio con calma. Per esempio senza accusare l'altro. Per esempio offrendo collaborazione. Ma questi sono gli argomenti di un altro post.

Intanto, comincia a tirare fuori, invece che lasciarti rodere. Qualsiasi conseguenza vale l'averlo fatto.

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giovedì 3 novembre 2011

Gioca al caffè sorridente

In questi giorni senti un po' di tensione? E' perfettamente normale tenendo conto del periodo che stiamo attraversando, dove confusione e nervosismi non mancano.

Il problema è che rischi di ricominciare una nuova giornata pensando a ciò che il giorno prima ti ha creato ansie, frustrazioni, difficoltà.

E non è un buon inizio. Si rischia infatti di concentrarsi su ciò che non va, e di vivere un'altra giornata difficile.

Prova invece a fare un gioco: fare finta di essere soddisfatto. Si, se fossi soddisfatto della giornata precedente cosa faresti? Ripenseresti a ciò che è andato bene, non a ciò che è andato male. E proveresti... soddisfazione. Si, prova a sentirti soddisfatto per essere soddisfatto. Vedrai che funziona. anche se hai avuto dei grandi casini. Scoprirai che non tutto è andato storto, e che anzi alcune cose sono state gestite bene.

Per fare questo gioco, chiedi aiuto al primo caffè della giornata. Guarda nella tazzina e cercaci un sorriso. Con l'immaginazione lo trovi. Sei tu, soddisfatto del giorno prima, che ti rifletti. Vedi? Cambiano un po' le cose adesso no?

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martedì 1 novembre 2011

Fai fare carriera alle idee

Perché la maggior parte delle persone che vuole fare carriera non fa carriera? Risposta: perché vuole fare carriera.

Non è un gioco di parole, dico sul serio. Più vuoi fare carriera, meno la farai.

Sì, perché se vuoi fare carriera tu personalmente, ti troverai a fare delle scelte mirate a metterti in luce, a cercare gratificazioni, a primeggiare sugli altri.

Se vuoi fare carriera sul serio, smetti di voler fare carriera tu e fai fare carriera alle tue idee.

Si, alle tue idee.

Se c'è qualcosa in cui credi, se hai un'idea, portala avanti. Ma ci devi credere veramente. Solo quando avrai dimostrato di essere disposto a tutto pur di vederla realizzata, anche a mettere in secondo piano la tua visibilità, allora sarai sulla strada giusta.

Per questo non devi tenerla solo per te ma condividerla coinvolgendo gli altri, facendoli sentire protagonisti della sua riuscita. Devi fare in modo che anche gli altri se ne approprino, che se ne prendano il merito. Anche più di te, se necessario.

Molto spesso le buone idee vengono buttate via solo perché chi le ha avute preferisce perderle invece di condividerle con gli altri. Se non può mettersi in mostra, allora non gli interessa più raggiungere un obiettivo. E' un grave errore.

Non avere paura di rimetterci. Stai tranquillo: alla fine tutti sanno chi è l'originatore di un successo, anche se non appare platealmente. E questa si chiama leadership.

Fai fare carriera alle tue idee. E' il modo migliore perché possa fare carriera anche tu.


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venerdì 28 ottobre 2011

Domande giuste, risultati giusti


Per ottenere risultati dobbiamo farci avanti, chiedere.

Ma non basta. dobbiamo fare le domande giuste.

La maggior parte della gente fa le domande sbagliate. E non ottiene risultati, anche se chiede.

Esempio di domande sbagliate che mi sono sentito rivolgere negli ultimi giorni: "Sono in difficoltà, mi aiuti a trovare lavoro?"; "Mi puoi dire quali progetti mi affiderai l'anno prossimo?"; "Non hai ancora fatto la riunione, quando la farai?":

Ecco come queste domande si possono trasformare in domande giuste: "Mi dai un consiglio su come ricollocarmi professionalmente?"; "Secondo te come si sta evolvendo l'attività?"; "Posso fare qualcosa per la riunione che era in programma?"

Notata la differenza? Le domande sono sbagliate quando chi le fa si aspetta che l'altro risolva il problema. In questo caso, chi domanda si pone come soggetto passivo nella soluzione. Sono giuste quando cercano la collaborazione dell'altro, affinché sia chi le fa a risolvere il problema. In questo caso è chi domanda che giungerà alla soluzione.

Fai le domande giuste, avrai risposte giuste. E i risultati che desideri.


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domenica 23 ottobre 2011

Richiedi!

Con questo post si chiude la "trilogia della reazione". Completamento del cassetto dei sogni e dell'alzare la posta.

L'illusione è quella di fare tutto da soli. Non si possono raggiungere risultati di successo senza l'aiuto degli altri.

Il problema è che la maggior parte delle persone fa due tipologie di errore:

1) Pensare di farcela in autonomia
2) Aspettarsi che gli altri diano un supporto

In entrambi i casi, non si chiede aiuto.

La cosa peggiore è che, quando poi non si ottiene ciò che si desidera, si tende ad incolpare gli altri. Li si accusa di non essere stati sufficientemente attenti, di essere egoisti, di voler sfruttare senza dare. Ma come fanno gli altri a darci supporto se non lo abbiamo richiesto esplicitamente?

Richiedi, se vuoi ottenere. Esponiti. Fatti avanti. Magari riceverai un no, ma avrai messo le cose in chiaro. Certo, lo devi fare bene. Evita di perseguitare, di stressare, di essere inopportuno. Ma richiedi. Se non richiedi e non ottieni, non lamentarti dopo. O meglio, lamentati solo con te stesso.


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venerdì 21 ottobre 2011

Alza la posta!

Se hai vissuto o stai vivendo un momento di stallo conosci bene la situazione. Le cose sembrano non andare, ti sembra di avere difficoltà a fare ciò che prima facevi facilmente. Di solito in questi casi si entra anche in conflitto con qualcuno e ci si incapponisce contro quella persona in modo ossessivo.

Il problema di questi momenti è che la reazione solita è quella di ridurre, ritrarsi, abbassare le aspettative.

Bisogna fare esattamente il contrario. Bisogna alzare la posta.

Mi spiego meglio. Immaginati di essere un alpinista abituato a scalare una certa vetta. Dopo un po' la cosa diventa normale. Dopo un po' diventa anche faticosa. Dopo un po' litighi con un compagno di viaggio. A questo punto ti senti un po' stanco di andare per le montagne decidi di fermarti. Pensi che se sei stanco su un risultato normale non sia il caso di perseguire altre mete, più difficili. Sbagliato. Proprio in quel momento è ora di puntare oltre. E' in quell'istante che devi progettare di scalare la vetta più alta. Si, perché il  nuovo progetto dà più energia. La sfida genera adrenalina. Il senso dell'obiettivo dà motivazione.

Si, la tua insoddisfazione non deriva dal momento o dalle persone, deriva dal fatto che non hai un traguardo serio su cui puntare. E se la confondi con la stanchezza, riducendo il traguardo peggiori la situazione.

Per questo, forza: alza la posta. Vedrai che i problemi del momento cesseranno di assillarti, non sprecherai più tempo a rimuginare sui rompipalle, la tua stanchezza si trasformerà in energia.

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mercoledì 19 ottobre 2011

Apri un pochino quel cassetto!

Il problema di avere i sogni nel cassetto sta nel fatto che la gente pensa che il cassetto debba stare o chiuso o aperto.

Niente di più sbagliato. Se il cassetto sta chiuso, i sogni rimangono dentro e continueremo a lamentarci del nostro presente.

Ma il cassetto non può stare aperto, perché è una grossa responsabilità fare uscire il sogno. Una volta che il cassetto è aperto il sogno o si realizza o muore. Per non correre questo pericolo, la gente lo tiene chiuso.

Qui sta il tranello. Il cassetto non deve stare né chiuso né aperto. Il cassetto deve stare un po' chiuso e un po' aperto. Per essere più precisi, deve schiudersi a poco a poco.

Facciamo un esempio. A volte sento gente che dice: "ma io lascio tutto e vado a lavorare in campagna". Se questo è il sogno nel cassetto, apri un pochino il cassetto. Informati, fai un giro, documentati. Credici. Anche se sai che il giorno dopo tornerai a lavorare nel tuo ufficio. Intanto hai aperto un po' il cassetto. Dopo un po' manda una mail, parla con qualcuno, approfondisci. Aggiungi un tassello: aprilo ancora un po'. agisci come se fosse ora che, a poco a poco, il sogno si debba realizzare. Facendo così, da un parte il sogno non rimane chiuso, ma neanche scappa via. E tu puoi considerare veramente la possibilità che si realizzi o meno. Oppure capire che era il sogno sbagliato, meglio saperlo subito. Ma anche se così fosse, per un po' hai fatto progetti, ipotesi, hai visto la tua realtà in modo diverso.

Dai, apri un po' quel cassetto. Solo di poco, che ti costa?

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giovedì 13 ottobre 2011

Come fai finire la storia?

Ho appena inventato questa storia per fare addormentare il mio bambino, e vale la pena che la proponga anche ai fresh thinkers.

C'erano due bambini a cui piacevano le macchinine. Solamente che ad uno piacevano quelle gialle, all'altro quelle rosse. Il primo aveva un sacco di automobiline tutte gialle, l'altro le aveva tutte rosse. Ognuno le voleva solo del colore preferito.

I due non mancavano di litigare, quando si trovavano insieme. Uno diceva che le gialle sono le più belle, l'altro rispondeva che sono meglio le rosse.

A Natale successe però una cosa strana. Il bambino che amava le macchinine gialle ricevette in dono da Babbo Natale una macchinina rossa. Il bambino che amava le rosse ne ricevette una gialla. Ognuno dei due rimase perplesso per il dono ricevuto e, con un po' di disappunto, cercò di nasconderlo all'altro: se ne vergognava. Nessuno dei due quindi parlava all'altro dei propri regali di Natale, e se si veniva sull'argomento, glissavano.

Un bel giorno la maestra propose ai bambini di portare a scuola i doni di Natale per mostrarli agli altri, e così i due non poterono più nascondere il proprio. Così uno scoprì che l'altro aveva ricevuto una macchina del colore che aveva più volte apertamente disprezzato.

Cosa poteva essere successo? Babbo Natale si era confuso? Impossibile, Babbo Natale non si confonde mai.

In ogni caso, ora avevano una situazione più chiara. C'erano due possibilità: tenere la macchinina ricevuta o scambiarsela. Che fare?


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domenica 9 ottobre 2011

Adesso!

Prima di partire per le vacanze estive ho commissionato un po' di lavori da fare con calma, tanto c'era un sacco di tempo. Sistemare i muri di casa, fare il tagliando alla macchina, realizzare una brochure. C'era tutto agosto a disposizione, i lavori mi servivano per settembre. Risultato? I muri sono imbiancati ma il lavoro è ancora da finire, e siamo in ottobre. La macchina era pronta subito, ma ho preso 169 euro di multa perché si sono dimenticati di farmi la revisione. Della brochure non c'è traccia.

Qual è il problema? Si, è paradossale. Il problema è che c'era troppo tempo a disposizione. Il troppo tempo rilassa le persone, dà l'illusione che in qualsiasi momento, con calma, si possono fare le cose. Avere troppo tempo toglie il senso dell'urgenza e del risultato.

Ecco perché non bisogna aspettare di avere tempo, per fare le cose: bisogna farle e basta.

Ma quante volte abbiamo detto "Quando avrò tempo... mi occuperò di questo, di quello, di me". La brutta notizia è che non avremo mai il tempo. La buona notizia è che se anche lo avremo, lo sprecheremo. Per questo, meglio non aspettare di avere tempo, per fare le cose.

Non dire mai più "Adesso non è il momento per mettere in ordine la mia vita". Proprio adesso che non è il momento, devi agire.

E ricordati il detto cinese: "il momento migliore è 20 anni fa. Il secondo momento migliore è adesso".

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domenica 28 agosto 2011

E' fresco?

Se il pesce non è fresco lo capisci subito. Avvicini il naso e, se non è fresco, senti cattivo odore. La natura ci ha dotato di un sistema naturale, infallibile. Mangiare del pesce non fresco ci farebbe male, per cui ha fatto in modo che istintivamente ci allontaniamo quando il nostro olfatto avverte una schifezza.

Ma come accorgersi se un pensiero non è fresco?

Nello stesso modo.

I pensieri non freschi emanano cattivo odore. Solo che questo cattivo odore non si sente con il naso. Arriva direttamente alla bocca dello stomaco, sotto lo sterno. E' una sensazione di compressione che si attiva tutte le volte che abbiamo di fronte a noi qualcosa che il nostro inconscio riconosce come marcio.

Ad esempio un politico ti piace ma un bel giorno sentendolo parlare avverti questa sensazione. Una persona ti è sempre stata amica ma durante una telefonata avverti questa sensazione. Hai sempre trovato brillante un collega ma mentre scambi quattro chiacchiere avverti questa sensazione.

Il tuo inconscio, prima ancora della tua coscienza, ha rilevato pensieri non freschi. Ascoltalo. La ragione tende a stabilizzare, a riferire al contesto, a negare. Tu invece qualcosa che non va l'hai percepito subito.

E' quella sensazione di saturazione, che ti dice di allontanarti. Fallo. Tanto, se ci pensi, sai già quello che comunque succede: dopo un po' lo farai lo stesso perché anche la tua mente se ne renderà conto.

Quando un pensiero puzza, dentro di te lo avverti.

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sabato 20 agosto 2011

Dialogo con Dio

Dio, sei proprio tu?

Beh, io non parlo con gli esseri umani, mi rivelo. Per cui una risposta non te la do.

Quindi potrebbe essere che io stia parlando a me stesso...

Esatto.

Beh, sappi che non capisco come hai organizzato il mondo. Guarda quante cose che non vanno ci sono. E tu stai li a fare niente?

Hey amico, aspetta un attimo. Non gettarmi addosso tutta la responsabilità.

La responsabilità è tua semplicemente perché tutto viene da te. Se qualcosa non va bene, la colpa è del capo.

Così funziona tra voi esseri umani, per me è diverso.

Perché, sei un privilegiato? Scusa l'ironia...

No, perché ho privilegiato voi.

E come?

Dandovi il libero arbitrio. Puoi decidere cosa fare, nella tua vita. Io non ci posso entrare. Per esempio, ora ti vedo a scrivere sul computer. E' una tua scelta. Potresti fare una passeggiata, giocare con i bambini. E invece stai scrivendo.

Ma sto parlando con te...

No, stai scrivendo. Da solo. E comunque non devi difenderti: mica volevo criticarti. Stavo solo dicendo che è una tua scelta.

Dunque siamo noi i responsabili di ciò che accade?

Vedi tu. Ti dico solo che ti ho dato il potere di decidere, in ogni istante, cosa fare...

Ma ci sono a volte problemi troppo grossi da poter essere risolti

Dunque stai decidendo di non poter essere in grado di fare nulla...

Ma cosa potrei fare? Non sono mica Dio!

Ne sei sicuro? Ti ho appena detto che ti ho regalato qualcosa di mio, il potere di scegliere. Ma se scegli di vedere ciò che non puoi fare invece di ciò che puoi fare....

Spiegati meglio

Mi sono già spiegato abbastanza, credimi, e adesso devo andare.

Vedi? Sei tu che scegli di andare, non io.

Certo, io scelgo la cornice. Tu scegli come agire nella cornice.  Io me ne vado, ma sono sempre presente. Vedi tu cosa fare, adesso. Buon lavoro.




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giovedì 18 agosto 2011

Renditi inutile!

Ecco la sequenza. Uno fa qualcosa che gli altri apprezzano. Ha successo. Per questo viene ricercato, in quanto quello che fa ha un valore per gli altri. Fin qui tutto bene, ma la sequenza non è finita. Che cosa avviene di solito? Che si crea una strana dipendenza fra chi ricerca e chi è ricercato. Per quest'ultimo infatti mettere l'altro in una situazione di dipendenza è vitale: se non ci fosse questa condizione, non sarebbe più cercato per le sue capacità. Se chi ricerca fosse capace di fare da solo le cose che gli servono, non avrebbe bisogno di chi è ricercato.

Per questo chi è bravo in un campo, di solito non vuole che gli altri lo vedano all'opera. Per questo chi ha delle competenze tende a tenersele per sé. Per questo chi ha le conoscenze giuste non le mette volentieri a disposizione.

Chi agisce in questo modo cerca di proteggere il proprio successo, ma non capisce che si sta scavando da solo la fossa. E' solo questione di tempo: prima o poi chi lo cercava diventerà capace di farsi da solo le cose di cui ha bisogno. Ed in quel momento colui che ha difeso le sue competenze, capacità e relazioni si troverà immediatamente spiazzato, obsoleto, abbandonato.

Come evitare questo? Anticipando gli eventi, e lavorando per la propria inutilità. Cercando di fare in modo che chi ci cerca per qualcosa che sappiamo fare, dopo un po' sia in grado di farsela da solo. Questo ci spingerà da un lato ad insegnare, e dall'altro ad essere obbligati a creare idee nuove, a cercare nuovi campi di applicazione, ad evolvere. Questo è il segreto: lavorare per la propria inutilità serve proprio a farci diventare ancora più utili.

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domenica 14 agosto 2011

Speciale 100° post: Ginetta dixit!

Due anni fa ci lasciava la "zia Ginetta", che considero la mia maestra perché fin da quando ero piccolo mi ha trasmesso le competenze e la passione per le persone e la psicologia.

A lei è dunque dedicato il centesimo post di Think Fresh.

Un giorno mi trovavo a casa sua, e come al solito le avevo chiesto di raccontarmi la storia di una sua nuova paziente (ovviamente lei non mi rivelava mai, per motivi di privacy, la vera identità, né  a me interessava conoscerla). Pochi secondi dopo che lei iniziò a parlare, la interruppi. "Zia Gin", le dissi, "Ti rendi conto che che quando mi parli di qualche tuo paziente inizi sempre dicendomi che è una persona molto intelligente, o molto sensibile, o molto capace, o molto profonda? Anche con questa ragazza sei partita dicendomi che è molto in gamba. Ma se è così in gamba, perché è venuta da te?"

La zia Gin sorrise e mi rispose: "Perché sono le persone più intelligenti, più sensibili, più capaci, più profonde e più in gamba che soffrono di più. Soltanto gli stupidi non soffrono". E continuò: "E' per questo che dobbiamo avere il coraggio di essere superficiali ogni tanto. Chi è superficiale, certamente si fa meno problemi e non entra certo in depressione".

Venticinque anni dopo Martin Seligman, il guru della psicologia positiva, disse esattamente le stesse cose.

La zia Gin non era certo superficiale.... Per cui se lo ha consigliato lei, se sei una persona profonda devi provarci, almeno per un giorno, a prendere le cose più alla leggera.

Buon ferragosto!

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venerdì 12 agosto 2011

Lascia cadere una biglia!

Con questo post si conclude la "trilogia del disimpegno".

Recapitoliamo:

Abbandonare il mezzo: disinvestire nei pensieri
Stop Loss: disinvestire nelle persone

ed ora:

Lascia cadere una biglia: disinvestire nelle azioni.

Noi tendiamo a riempirci la giornata di cose da fare. Come se riempissimo la nostra mano di biglie. Ma su una mano non possono stare troppe biglie, così come in una giornata non possiamo fare troppe cose. Se lo facciamo, rischiamo di fare tutto male e di dover ritornare a recuperare. Ed anche se ciò che facciamo va bene, il risultato è comunque uno stress inutile.

Per questo ti propongo: fai cadere una biglia. Comincia oggi. Rinuncia a fare qualcosa, e piuttosto fai lavorare la tua intelligenza: cerca di raggiungere lo stesso risultato facendo una cosa in meno. Ti accorgerai che con meno biglie in mano, riuscirai a giocare meglio.


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giovedì 11 agosto 2011

Stop Loss!

Quando un titolo azionario perde valore, di solito l'investitore professionista lo vende, anche se questo non è conveniente, per fermare le perdite. Questo meccanismo si chiama "stop loss". Evita che le proprie risorse economiche finiscano in un buco nero. Al contrario, chi è poco esperto tiene il titolo per sperare che si rialzi, ma è probabile che invece il suo valore scenda ancora.

Questo concetto vale anche con le persone. Ogni persona per noi è un investimento: in affetto, attenzione, energie. Che sia un investimento elevato o meno, varia da persona a persona. Per questo, se percepiamo che i nostri sforzi non sono commisurati al ritorno che abbiamo in termini di benessere psicologico, dobbiamo disinvestire. Inutile accanirsi, come spesso facciamo. Non siamo obbligati ad essere positivi con tutti. Non siamo obbligati a regalare le nostre energie.

Lo "stop loss" applicato alle relazioni con gli altri serve per proteggere il nostro patrimonio di energia affettiva. Va applicato con professionalità. Sii sincero con te stesso, e stai attento al livello di benessere che vivi nel rapporto con l'altro. Decidi un livello sotto il quale non sei disposto ad andare, come il trader decide un prezzo sotto il quale non è disposto a scendere. E quando quel livello è raggiunto... Stop Loss!

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martedì 9 agosto 2011

Abbandonare il mezzo!

Quando si cade in moto, la reazione più comune è quella di tenere le mani salde sul manubrio. Questo è dovuto al rifiuto di accettare che le cose non stanno andando come volevamo, e ad un irrazionale tentativo di rimetterle a posto. E' sbagliato, perché non potendo più controllare la moto, tale azione è perfettamente inutile ed anzi dannosa.

In questo caso, c'è una sola azione consigliabile: abbandonare il mezzo!

Questo accade anche con la nostra mente. A volte qualcosa non funziona o è andato storto, e noi siamo lì a pensarci ed a ripensarci senza sosta. E' inutile, perché senza nuove informazioni i ragionamenti girano a vuoto. In psicologia hanno un nome ben preciso: si chiamano "pensieri fissi". E' come se tenessimo le mani sul manubrio mentre quelli vagano incontrollati. Anche in questo caso, abbiamo l'illusione di risolvere il problema, ma accade il contrario. Ed il risultato è certamente lo stress.

Anche in questo caso, dobbiamo abbandonare il mezzo. Che significa: mollare l'oggetto del pensiero fisso al suo destino. Semplicemente lasciare la presa, smettere di pensarci. Certo, abbandonare un pensiero fisso non è facile, esattamente come non è facile abbandonare un mezzo. Ma bisogna farlo, oppure ci schianteremo con esso. Ed una volta lasciato andare, ci accorgeremo che dopotutto  era più semplice di quanto credevamo.

Stai strisciando con pensieri fissi che abbassano la qualità della tua vita? Abbandona il mezzo!

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venerdì 5 agosto 2011

Mordi, rinunci o ti svegli?

Facci caso: quando ti capita di trovarti in una situazione critica, di solito sono due le modalità con cui tendi a reagire.

Mordere o rinunciare.

Si, avvertiamo gli  stati di disagio o di possibile pericolo con una strana attivazione interiore, che va dal fastidio all'agitazione. A seconda di quanto la situazione ci sta mettendo in crisi. E' proprio in quel momento che vediamo solo queste due strade percorribili: reagire mordendo o lasciando perdere.

Mordere significa restituire il disagio, scaricando l'attivazione dall'interno all'esterno, sulla cosa o persona che lo ha provocato. Rinunciare significa tenere dentro l'attivazione e comprimerla, non facendo assolutamente nulla. Entrambe queste reazioni sono deleterie: la prima perché rovina il nostro rapporto con il mondo, la seconda perché rovina il rapporto con noi stessi.

Ma perché vediamo solo queste due possibilità? Semplice: perché a fronte di un problema tendiamo a cadere in uno stato paranoico, di autoipnosi, in cui tutto e tutti ci sembrano ostili. Dobbiamo dunque liberarci dallo stato paranoico. Come fare? Svegliandosi.

Ci dobbiamo rendere conto che il solo fatto di voler reagire mordendo o rinuciando indica che non siamo svegli. Per svegliarci, dobbiamo osservare noi stessi e la situazione dall'alto. E chiederci cosa possiamo fare che non sia né l'una né l'altra cosa. Per svegliarci, prima di agire dobbiamo chiederci: Cosa voglio veramente? Quali sono i miei obiettivi? 

Vedrai che la maggior parte della volte troverai una soluzione migliore, come parlare con l'altro, spiegarti, ascoltare, fare uno schema, fare una proposta, e così via. Attenzione: non è detto che tu debba fare per forza qualcosa che faccia andare le cose a buon fine. Puoi decidere di lasciare perdere. Ma lo farai da sveglio. Puoi non rispondere ad una mail, se non ti interessa proseguire nella relazione con l'altro.

Quando, invece di mordere o rinunciare, lavorerai raggiungere i tuoi obiettivi con serenità, allora ti potrai considerare sveglio.

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domenica 31 luglio 2011

Partito dietro? Vincerai.

Fermati un attimo ad analizzare la gara dei 200 sl di Federica Pellegrini nei mondiali di nuoto di Shangai, del 27 luglio. Parte praticamente dietro tutte, o le altre partono prima di lei, a seconda di come la vogliamo vedere. Insomma, ad un quarto di gara, 50 metri, è penultima. Settima su otto, staccata quasi un secondo dalla prima.
Gara persa? per niente. A metà gara, 100 metri, è quinta, ma a quasi un secondo e mezzo dalla prima. A tre quarti di gara, 150 metri,  è terza, a meno di un secondo dalla prima. A fine gara, 200 metri, è prima.
Quali sono stati i fattori di successo? Allenamento a parte, vediamoli:

1) Progressione
2) Fiducia nelle proprie capacità
3) Impegno

Di solito quando faccio esempi sportivi mi sento dire: "certo, ma quella è Federica Pellegrini""quella è una professionista". Bene, allora imitala. Sii anche tu un professionista.

Il primo errore comune è guardare troppo la posizione, il picco di performance, e basarsi su quello e basta. Come se la nuotatrice pensasse: "sono settima, lascio perdere". Le persone comuni fanno questo errore tutti i giorni. Non bisogna guardare dove siamo rispetto agli altri, ma quale è la progressione rispetto a noi stessi.

Il secondo errore comune è non avere fiducia nelle proprie capacità. Nessuno saprà mai se le proprie capacità sono quelle giuste o meno. Ma tra crederci e non crederci, conviene crederci: è l'unica posizione che fa aumentare la probabilità di raggiungere il risultato. Quindi Federica Pellegrini non solo crede in se stessa perchè ha vito, ma ha vinto perché crede in se stessa.

Il terzo errore comune è abbandonare l'impegno a fronte della prima grossa difficoltà. Come se la nuotatrice, quinta a metà gara, avesse lasciato perdere. Quando si vede la progressione, bisogna raddoppiare l'impegno.

Quali sono i tuoi personali "200 metri"? Sei partito in ritardo? Niente paura, guarda la progressione, fidati di te e mettici tutto l'impegno. Alla fine vincerai.

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giovedì 28 luglio 2011

Prenditi in contropiede!

Scommetto che giochi per fare goal. Quindi di solito cerchi di fare al massimo delle tue capacità le cose che sai fare bene. Questo di solito ti permette di vincere.


Forse non sai che per continuare a vincere, e per vincere ancora di più in futuro, è necessario che tu prenda te stesso in contropiede.


Cosa significa? Vuol dire che fare al massimo quello che fai già alla lunga diventa dannoso. Un punto di forza si trasforma in un punto di debolezza. Un modo brillante di risolvere un problema è destinato a diventare obsoleto. Una soluzione che ti ha portato buoni risultati, ad un certo punto non funzionerà più. Una buona idea prima o poi perde la sua forza. Ed il peggio è che quando te ne accorgerai, sarà troppo tardi.


Come puoi evitare tutto questo allora? Prendendoti in contropiede. Il contropiede nel calcio è un'azione offensiva impostata in maniera repentina, dopo aver interrotto un'azione offensiva avversaria, senza dare all'avversario il tempo di riorganizzare il proprio schieramento difensivo. Nel parlato quotidiano indica situazioni in cui si è presi alla sprovvista.


Ciò che devi fare dunque è proprio prenderti alla sprovvista. Ti accorgi di lavorare da solo? Cerca l'aiuto di qualcuno, anche se non ne senti il bisogno. Passi molto tempo al computer? Prendi carta e matita. Sei abituato a scrivere mail? Fai una telefonata. Il tuo punto di forza è la collaborazione? Prova a dire di no, una volta. Pensi che qualcuno sia antipatico? Trova qualcosa che ti piace di lui, come se fosse simpatico.


Prendersi in contropiede non ha l'obiettivo di cambiare idea, ma quello di mettere in discussione le idee che già esistono. Poi, quello che succede, succede.


Prenditi in contropiede, stupirai te stesso e ti accorgerai che è il modo migliore per stupire anche gli altri.


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giovedì 21 luglio 2011

La magia della perfezione

Una domenica del 1972 scatta un'evento eccezionale nella storia della televisione Italiana: per la prima ed unica volta cantano insieme Mina e Battisti. Il duetto dura più o meno 8 minuti e rimane nella storia della musica e nella cultura, tanto che Enrico Cesarini gli ha pure dedicato un bel libro (Insieme Mina Battisti - 1972: Il duetto a Teatro 10 e la fine del sogno italiano, Coniglio editore, 14,50 euro).


Un momento magico, dunque. Ma tutto era nato in salita, prima di andare in onda ci sono stati un sacco di problemi. La band di Battisti era scesa da Milano a Roma in treno, in vagone letto, perché volo ed albergo costavano troppo (!). Arrivarono cotti, e le prove furono un disastro. 

Ma poi la magia di quell'evento straordinario. Come è potuto succedere? Semplice, grazie al parametro della perfezione. E cioè: il fatto che nessuno si è risparmiato (guarda Mina mentre canta "Il tempo di morire") e che tutti si sono emozionati. Generosità + emozione = magia.  E' la formula della perfezione del momento. Accade quando si verifica una congiutura: tutti i soggetti in gioco vincono. I due cantanti erano emozionati, la band era emozionata, il pubblico era emozionato.

Ricordalo, se vuoi fare diventare un momento normale in un momento perfetto, fai scattare la magia. Dai tutto te stesso, ed assicurati che tutti possano vincere.

Ed ora un consiglio: goditi questi otto minuti.



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giovedì 14 luglio 2011

Vuoi diventare un maestro?

Forse sei soddisfatto di ciò che fai. Forse sei competente, stimato. Ma non ti senti ancora un maestro. Ciò significa che devi fare un salto di qualità. Puoi farlo.

Per diventare un maestro, devi guardare come lavorano i maestri. Comunemente si pensa che i maestri siano tali perché insegnano. Sbagliato. I maestri sono maestri perchè rompono gli schemi e sperimentano.

La prima volta che l'ho capito, ero in una struttura universitaria specializzata in ortodonzia. I Medici e gli specializzandi si erano fermati di fronte ad un problema. Un bite non risultava più idoneo al paziente e non c'era il tempo di produrne uno nuovo. Chiamarono allora il maestro che arrivò, studiò la situazione, prese in mano il bite e con una fresa lo tagliò in due. Poi modellò le due parti come aveva in mente e le mise nella bocca del paziente sotto lo stupore di tutti. Aveva avuto il coraggio di fare ciò che nessuno aveva pensato o osato.

Una situazione analoga l'ho trovata qualche sera fa ad un concerto di violoncello. Maestro e allieva hanno cominciato a suonare insieme. Ma a poco a poco il maestro ha cominciato a rompere gli schemi, usando lo strumento in maniera assolutamente atipica: battendovi le mani sulla cassa, sfregandolo, facendogli emettere suoni fuori dal comune. Poi ha cominciato a rompere gli schemi dello spazio, alzandosi e girando prima tra il pubblico e poi dietro le quinte, sempre suonando. Ma la rottura totale è avvenuta quando si è alzato abbandonando il suo strumento e si è messo a lavorare in contemporanea su quello dell'allieva che, pur essendo una violoncellista tra le più quotate, ha continuato a suonare per tutta la serata nel modo regolare.

Vuoi fare un salto di qualità, vuoi imparare a diventare un maestro? Comincia a rompere gli schemi.

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lunedì 4 luglio 2011

Stai con i più bravi!

Questa foto l'ho fatta con il Blackberry ieri sera, all'Arena di Milano, durante il concerto del mitico Ringo Starr. Bellissimo spettacolo e straordinaria atmosfera di festa. Ringo è un artista eccellente e simpatico. Il suo successo però non è dovuto alla bravura con cui suona la batteria. Piuttosto, lui deve tutto alla sua abitudine a circondarsi di persone veramente in gamba.


Fin dalle sue prime esperienze, Ringo suonava con il miglior gruppo di Liverpool, Rory Storm and the Hurricanes. Erano i più energici, i più spettacolari, più quotati dei Beatles degli esordi. Qui imparò ad essere professionale e stare sulla scena. Per questo fu scelto da Lennon e McCartney. John e Paul poi sono stati i migliori compositori di tutti i tempi, e stando con loro imparò a scrivere delle belle canzoni. Come "photograph" per esempio: splendida nella musica e nel testo.


Nel suo tour 2011, infine, si circonda di artisti bravissimi: Rick Derringer alla chitarra, Richard Page alla voce e basso, Wally Palmar alla chitarra, Edgar Winter come multistrumentista, Gary Wright al piano e Gregg Bissonette alla batteria. Tutti hanno suonato in gruppi famosi e nel concerto ognuno di loro canta, come protagonista, una sua hit. 


Insomma, anche adesso che Ringo potrebbe permettersi di essere l'unica star e farsi accompagnare da musicisti normali, lui cerca la compagnia dei più bravi. E sembra pagare volentieri il prezzo di condividere con loro il successo della serata.


E tu cosa preferisci fare? Ti circondi di persone mediocri, rispetto alle quali puoi emergere, o cerchi i migliori nel tuo campo, con i quali da un lato devi condividere il successo, ma dall'altro hai però la certezza di diventare sempre più bravo?


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domenica 3 luglio 2011

Quando il bollitore scotta

L'altra sera, mentre mi stavo facendo una camomilla con il bollitore mio sono messo al computer, con il risultato che mi sono dimenticato il bollitore sul fuoco. Quando me ne sono accorto era ovviamente incandescente, e addio camomilla. L'acqua era completamente evaporata ed il bollitore scottava da matti. Non lo si poteva prendere in mano, per cui l'ho dovuto lasciare lì finché non si è raffreddato.

Qualcuno potrebbe pensare: "Beh, ma c'è la maniglia". Niente da fare: il bollitore scottava così tanto che anche la maniglia era intoccabile. Insomma, anche se il bollitore è progettato esattamente per stare sul fuoco, non poteva fare il suo lavoro. Perché? Perché la quantità di calore che aveva preso era eccessiva.

Pensiamoci, quando la cosa non riguarda il bollitore ma noi stessi. Una frase una notizia, un comportamento, una mail ci fa salire la temperatura? Siamo come il bollitore. Cominciamo a scottare. E quindi è meglio non fare assolutamente. lasciare raffreddare il tutto e pensare di parlare, rispondere, scrivere mail, reagire quando ci siamo raffreddati. Qualsiasi azione faremo in quel momento farà esattamente quello che fa un bollitore incandescente: scottare.

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domenica 26 giugno 2011

Sei un trifoglio o un quadrifoglio?

Un manager, mentre stava conversando animatamente al telefono, si infilò nei giardini di via Palestro a Milano. Quando terminò la sua difficile conversazione si accorse che nella stessa panchina vicino a lui si era seduto un vecchio, che mormorò: "era solo un trifoglio".

All'inizio il manager pensò che si riferisse all'erba, ma nei giardini di via Palestro le panchine sono posate sulla ghiaia. Fu allora che si accorse che si stava riferendo proprio alla sua telefonata. Il vecchio aggiunse: "ha sicuramente parlato con un trifoglio" Il manager lo guardò incuriosito, e quello continuò: "nella vita le persone si dividono in due categorie, i trifogli e i quadrifogli. I primi non portano fortuna. Non sono necessariamente cattivi, solo che ad incontrarli non cambia niente nella tua vita. I trifogli pensano a se stessi, non fanno sforzi particolari per venirti incontro. I quadrifogli invece cambiano un po' la tua vita, ed incontrarli ti porta sempre un po' di fortuna. Sono coloro che cercano, nelle grandi come nelle piccole cose, di portare un vantaggio a chi gli sta intorno. Solamente che sono più rari, ci sono molti più trifogli di quadrifogli".

Il manager pensava che stesse vaneggiando. Il vecchio se ne accorse, e fu ancora più preciso. "Ho visto, più che ascoltato, la sua telefonata. Ho visto che lei cercava di spiegarsi, ma dall'altra parte c'era un muro e ad un certo punto lei ha desistito. Così ho capito che aveva semplicemente trovato un trifoglio".

A questo punto il vecchio cominciò a recitare una poesia. Il manager sulle prime stava per andarsene, poi fu catturato dalle sue parole e stette lì ad ascoltarlo. Quando la poesia fu terminata, il vecchio si alzò e lo salutò. Il manager per ringraziarlo della compagnia gli disse: "sembra che abbia trovato un quadrifoglio, adesso". Il vecchio sorrise e si girò. Fu allora che il manager gli chiese: "Un attimo, ma secondo lei io cosa sono, un trifoglio o un quadrifoglio?".

Il vecchio allora si girò nuovamente verso di lui e prima di andarsene gli rispose: "Qui sta il bello, se sei trifoglio o quadrifoglio lo decidi tu".


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sabato 25 giugno 2011

Che sfortuna, approfittane!

Ne approfittiamo quando... dobbiamo tornare a casa, un amico passa di lì e ci dà un passaggio. Quando al supermercato troviamo qualcosa che compriamo abitualmente, in sconto. Quando, visto che troviamo un interlocutore positivo e favorevole, gli diciamo anche qualcosa che sappiamo non gli farà piacere. E così via con mille altri esempi.

Insomma, lo schema è sempre quello: casualmente troviamo una situazione che facilita il raggiungimento di un obiettivo e la cogliamo al volo. In altre parole: la situazione è positiva e ne approfittiamo.

Ma cosa siamo soliti fare con le situazioni negative? Esattamente il contrario, rifuggirne. In altre parole, acceleriamo la nostra azione in un contesto positivo, la freniamo in uno negativo. Così, se ad esempio devo dire qualcosa di spiacevole e l'interlocutore non mi mostra apertura, ci rinuncio.

Troppo facile "approfittarsi" di situazioni fortunate. Io ti propongo un salto di qualità: "approfittarsi" di situazioni sfortunate.

Sì, qualsiasi situazione difficile o di crisi può diventare, proprio perché implica una scossa, un cambiamento, una situazione di cui ci si può approfittare. L'altro giorno ho sperimentato un momento di tensione con una persona. Il rapporto si sarebbe rovinato se avessi mantenuto un profilo basso, cosa che solitamente viene spontaneo fare. Invece ho alzato la posta, aperto una crisi, sono andato fino in fondo. Insomma, ne ho approfittato per fare chiarezza, per affrontare argomenti critici, per operare un confronto franco e aperto.

Risultato? Il nostro rapporto professionale ne è uscito più solido di quando abbiamo iniziato a collaborare. Se abbiamo il coraggio di approfittare di situazioni difficili, il risultato è ancora più premiante.

Approfittane anche tu, ma non essere banale: dei colpi di fortuna sono capaci tutti, è su quelli di sfortuna che ti voglio vedere all'opera!



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venerdì 24 giugno 2011

Lasciagli il suo giocattolo!

In questi giorni si è verificato un episodio che mi ha riportato alla mente una situazione che ho vissuto alcuni anni fa.

Gestivo un progetto per un grosso cliente. Il progetto andava bene ma, come spesso succede, presso quell'azienda cambiò l'interlocutore e la nuova responsabile, poiché odiava il collega che ci aveva scelti, ci tolse il progetto.

Quando raccontai la situazione al mio migliore amico, davanti ad una pizza ed una birra, ero comprensibilmente depresso. Quello mi ascoltò con attenzione e quando finii di parlare, dopo un attimo di silenzio, con una tranquillità disarmante mi disse "Lasciagli il suo giocattolo". Pensai di non avere capito bene, e me lo feci ripetere. "Lasciagli il suo giocattolo", mi disse di nuovo. "Tu sei molto più di quel progetto". "Quella se lo vuole tenere? Se lo tenga".

Ero meravigliato. Mi aspettavo che un amico mi consigliasse di lottare fino alla morte per riavere ciò che ritenevo un mio diritto, ed invece mi suggeriva il contrario. "Non vale la pena di perdere tempo rimpiangendo un progetto che non ti vogliono più dare. Lasciaglielo: se ne pentiranno. E se non se ne pentono, comunque a te importa poco, a questo punto. Si, perché se rivogliono il loro giocattolo, a te non interessa più. Avrai l'opportunità di dedicarti ad altri giocattoli!"

Quella sera tornai a casa molto più sereno. Il mio amico mi aveva fatto comprendere come, alla fine, tutto ciò che ci sembra così importante in realtà non lo è. Qualsiasi cosa riteniamo preziosa è un giocattolo che possiamo lasciare, se qualcuno usa il suo potere per portarcelo via.

Ecco perché, quando pochi giorni fa la cosa si è ripetuta, quando con doppiezza e falsità si sono appropriati di un progetto su cui abbiamo lavorato sodo, ho pensato, con serenità: "tenetevi il vostro giocattolo".

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giovedì 23 giugno 2011

Aspetta un secondo!

L'altra mattina ero in casa e stavo facendo tre cose contemporaneamente. Suona la sveglia del Blackberry e mi precipito a spegnerlo. Poiché avevo le mani bagnate, ho rischiato di rovinarlo per niente. Se avessi aspettato un secondo in più, avrei trovato una soluzione migliore. Ce ne potevano essere a decine. Solo che, in quel momento, non ci ho pensato: mi sono venute in mente subito dopo.

Un secondo in più avrebbe fatto la differenza fra una soluzione ed una soluzione buona. Non erano necessari processi di pensiero complessi e tecniche di problem solving particolari. Bastava soltanto lasciare alla mente un secondo in più di tempo. Lei avrebbe fatto tutto da sola e lo avrebbe speso bene.

Pensiamoci: tendiamo a reagire alle situazioni buttandoci verso l'obiettivo e dando per scontato che ciò che stiamo facendo sia l'unico modo per raggiungerlo. E se invece aspettassimo un secondo in più?


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domenica 8 maggio 2011

Sei disposto a salire in basso?

Ti sarà certamente capitato di subire un sopruso, un'ingiustizia, una prova di forza da qualcuno che, magari mediocre, sfruttando una situazione di vantaggio si diverte a metterti in difficoltà.


In queste situazioni ci sono tre possibili reazioni. La prima è la reazione del mediocre: non fare nulla, subire, macinare la rabbia ma lasciar perdere. La seconda è quella della persona capace: arrabbiarsi, reagire, contrattaccare, lavorare per ottenere il risultato. La terza reazione è quella del grande: affrontare la situazione con umiltà.


Umiltà significa fermarsi un attimo, ascoltare, capire. Anche se l'altro è inascoltabile ed incapibile. Significa mettersi in discussione, cercare i propri errori anche se si è palesemente dalla parte della ragione. Significa essere determinati a risolvere "insieme" il problema e consapevoli che per farlo ci vuole il nostro impegno, senza tropo concentrarci sulle responsabilità dell'altro. Significa essere disposti anche a mollare, se necessario, dopo aver capito la situazione.


Per fare tutto questo ci vuole grandezza: la grandezza di scendere con l'ego ma al contempo di salire con la forza personale. Perché tutto ciò va fatto senza perdere obiettività e senza entrare in una dimensione remissiva e perdente.


Già, è un paradosso: per essere grandi, bisogna saper scendere.


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sabato 23 aprile 2011

Mi vorrò bene quando...

Mi vorrò bene quando... prova a completare questa frase. Solo dopo, continua a leggere.

In modo semplice e rapido, ciò che hai pensato completandola ti permette di prendere consapevolezza di qualcosa di estremamente importante per te: l'elemento al quale, magari inconsciamente, condizioni la tua autostima e la tua felicità.

Ti vorrai bene quando avrai vinto una gara? Quando qualcuno sarà soddisfatto di te? Quando otterrai un lavoro importante? Quando avrai più soldi?  Renditi conto che stai subordinando la tua autostima ad una vittoria, al giudizio di una persona, ad una posizione, al denaro.

Ti devo a questo punto fare una rivelazione: stai sbagliando l'ordine delle cose. Stai considerando quegli elementi come mezzo e l'autostima come fine. In realtà il rapporto è esattamente il contrario: l'autostima è il mezzo per avere ciò che desideri. In altre parole, se non ti vuoi bene, rischi di non ottenere nulla.

Di solito non mi piace indicare una soluzione, ma in questo caso lo voglio fare. La frase completata nel modo "giusto" è la seguente: "Mi vorrò bene quando lo dico io. E io dico... adesso".

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domenica 17 aprile 2011

Mediocrità o grandezza. La tua scelta?

In una delle mie prime esperienze lavorative avevo un capo arrogante, aggressivo, cinico. Notai che dopo un po' di tempo uno dei miei colleghi, quello che gli era più vicino, era diventato esattamente come lui.

Quando qualcuno si comporta male nei nostri confronti possiamo reagire in due possibili modi: fare con gli altri esattamente come ha fatto con noi o fare il contrario.

La prima modalità, quella del mio collega, in psicoanalisi si chiama "identificazione con l'aggressore". E' una reazione comprensibile, umana. Il principio è quello per cui il comportamento degli altri ci insegna qualcosa trasmettendola. E l'imitazione di quel comportamento è la via più semplice.

Ma non è la via del leader.

Il leader sceglie di reagire seguendo la strada della grandezza. Fa tesoro delle proprie esperienze. Ci lavora sopra, ci ragiona. Non sceglie la strada più semplice. Non scarica sugli altri le sue frustrazioni. Non fa pagare agli altri ciò che ha subito lui. Non sceglie la strada della mediocrità mettendosi dalla parte dell'aggressore, si mette dalla parte della vittima.

Quando subisce un torto, il leader impara come "non" fare con gli altri e costruisce il suo modo di agire "per" gli altri. E' questo il suo, personale, contributo al mondo.

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venerdì 8 aprile 2011

Fatti dare del pazzo

Tempo fa, quando non avevo ancora una mia società di consulenza, ero stato chiamato da un cliente per un progetto. Tornato in ufficio, presentai al mio capo le idee che avevo avuto. Ero elettrizzato, perché si trattava di fare qualcosa di completamente diverso dal solito. Ma il mio capo mi smontò, dicendomi: "Se presenti una cosa del genere, ti rideranno dietro": E mi propose una scelta più tradizionale.

Ricordo che mi trascinai fino a casa, depresso. Cosa dovevo fare? Seguire il consiglio del mio capo era la cosa più semplice: se il progetto fosse stato accettato l'avevo fatto io, se fosse stato rifiutato potevo dare la colpa a lui. Ma la cosa non mi convinceva. Mi chiesi cosa io volessi veramente. E io veramente volevo procedere con la mia idea. Ma, nel caso in cui fosse stata rifiutata, mi sembrava già di sentire la voce del capo: "te l'avevo detto".

Stavo quasi rinunciando quando realizzai che se non avessi avuto il coraggio di andare avanti in quel momento, non ce l'avrei mai più avuto. Avrei educato me stesso a non rischiare, a scegliere la via più comoda, a rinunciare di realizzare ciò che veramente volevo.

Così andai avanti, con il disappunto del mio capo. Il progetto fu un grande successo, oltre tutte le  aspettative. 

Non c'è innovazione senza una rottura di schemi, e se rompi gli schemi ti danno del pazzo. Si, potrebbe andare male, ma almeno ci hai provato. Ma se va bene, gli scenari che si aprono sono enormi. Da quell'episodio si innescò un processo che mi portò a costruire una mia azienda. 

Fatti dare del pazzo: hai solo da guadagnarci.


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sabato 5 marzo 2011

Perché non ti vuoi azzurra e lucente?

La fregatura delle canzoni di Lucio Battisti è che sono così belle che ti sfuggono tra le mani. Il mix parole e musica è così potente da risultare emotivamente ingestibile. Eppure, se ci facciamo attenzione, i messaggi sono a volte potentissimi. Prendiamo ad esempio "La collina dei ciliegi": 
nei primi trenta secondi c'è tutta la psicologia dell'efficacia personale. 


Primo: Stimati
E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante, cancella col coraggio quella supplica dagli occhi.
Decidi di stimarti. Capisci il paradosso: se aspetti che qualcuno ti dica bravo, la tua stima dipende da qualcun altro. se tu ti dici bravo, la tua stima dipende da te. Appunto: autostima.

Secondo: Agisci 
Troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante, e quasi sempre dietro la collina è il sole. 
Non raccontartela. Non stare ad aspettare chissà cosa mascherando a te stesso la paura di agire.

Terzo: Tutto dipende da te
Ma perché tu non ti vuoi azzurra e lucente? 
Troviamo sempre il modo di attribuire a qualcun altro ciò che non va bene e ciò che non ci piace. In realtà tutto dipende da noi.

La vita è una scelta continua, ciò che siamo equivale a ciò che scegliamo di essere. Ciò che scegliamo di essere è sottoposto ogni giorno ad una prova di coraggio da parte nostra: scegli di essere come ti vogliono gli altri o come ti vuoi tu? A te la scelta.


http://www.youtube.com/watch?v=n-9RIxpyyKA


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mercoledì 2 marzo 2011

La strana storia del cavalier Messina

Questa storia straordinaria l'ho vissuta proprio agli inizi della mia carriera: spesso mi trovo a ripensarci, ed ogni volta che ci penso mi insegna qualcosa.

Ero appena stato assunto in una grande azienda ed avevo fatto amicizia con Michele, che già lavorava da un paio d'anni. Michele era molto brillante e si occupava di marketing. Aveva avanzato la richiesta di avere un'assistente, l'avevano approvata, e si aspettava una giovane laureata.

Ed invece chi gli proposero... un impiegato di più di cinquant'anni, ai ferri corti con l'azienda. Si chiamava Messina. Era stato licenziato, aveva fatto ricorso, l'aveva vinto e si era fatto reintegrare. Immaginate la sua motivazione a lavorare con un quasi neolaureato. Ed immaginate la motivazione di Michele nel trovarsi in ufficio un tipo del genere.

Messina e Michele rimasero, all'inizio, tre giorni senza parlarsi. Poi Michele chiuse la porta, prese una sedia e si sedette davanti a lui. "Non mi muovo di qua finché non ci parliamo", disse. Passarono due ore in silenzio, uno di fronte all'altro. Poi Messina si aprì. Passarono una giornata a parlare.

"Diego", mi disse Michele, "con quest'uomo non ha mai parlato nessuno. E' un poveretto, fa fatica a tirare a fine mese. Ha un figlio handicappato e sua moglie è morta. Ogni mattina va in bagno a cambiarsi le scarpe "belle" per mettersi delle scarpe più brutte, da tenere sul lavoro. Ha solo queste due paia. Mai nessuno l'ha considerato, mai nessuno l'ha valorizzato, mai nessuno ha creduto in lui. Mai nessuno l'ha ascoltato. Ad un certo punto è diventato un nemico per l'azienda e tutti hanno cominciato ad evitarlo. Ma io voglio credere in lui."

Nessuno ci avrebbe scommesso. Ma Michele lo ascoltò, lo rispettò ma al contempo pretese la collaborazione che Messina doveva dargli. Nel giro di poco tempo Messina rinacque. Diventò il braccio destro di Michele. Si sarebbe fatto ammazzare per lui. Michele era il suo leader. Lui, più che cinquantenne, avrebbe fatto di tutto per il suo capo poco più che ventenne.

Per un solo motivo: l'aveva ascoltato e rispettato.

Michele cominciò a chiamarlo "cavaliere" perché si era accorto che a lui piaceva. A poco a poco tutti in azienda cominciarono a chiamarlo cavaliere. Per tutti, interni o esterni, era diventato il "cavalier Messina". Lui e Michele erano diventati una forza della natura.

Rifletto spesso su questa vicenda, quando cerchiamo di imbarcarci in complessi discorsi sulla leadership.

E se la leadership fosse solo ascolto e rispetto per gli altri?


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Nella foto: proprio l'azienda dove lavoravamo 

domenica 27 febbraio 2011

Entra in dissonanza!

Quelle che seguono sono le mie note pubblicate sul libretto di sala de "Il suggeritore", nuovo spettacolo attualmente in scena al teatro dei Filodrammatici, scritto e diretto da Bruno Fornasari. Commitment, la mia società, sponsorizza il teatro e scrivendomi vi posso fare avere il pass per entrare a prezzo super-speciale (diego@diegoagostini.it).

Dissonanze

Cosa accade nella vita di un uomo che non è più soddisfatto del proprio lavoro? La maggior parte delle volte, nulla. Occorre grande coraggio per poter leggere, nella routine della propria vita, gli elementi critici che necessitano di un cambiamento. E occorre grande coraggio per agire, con determinazione, tale cambiamento fino in fondo. In alternativa resta soltanto una irrisolta e dolorosa sospensione.

Il meccanismo è semplice e l’ha ben spiegato Leon Festinger, psicologo statunitense scomparso pochi mesi prima della caduta del muro di Berlino, con la sua teoria della dissonanza cognitiva.

La nostra mente ricerca equilibrio e coerenza. Ma quando rileva qualcosa di non coerente lo corregge, inventandosi una spiegazione che la fa stare tranquilla. E va oltre: ricerca qualsiasi elemento a conferma della spiegazione che si è data. Così, se so che fumare fa male e non riesco a smettere, penso che dopotutto conosco medici che fumano, e noto tutti coloro che, pur fumando, godono di ottima salute. Così riduco la dissonanza. Così metto in sospensione la mia mente.

Ma allora, cos’è la realtà, se non il risultato di un’operazione mentale? Ciò che mi appare vero, altro non è che il risultato di una mia percezione che non si limita a “prendere atto” di una oggettività, ma ne costruisce una sua. Il più delle volte, a mia insaputa. Ecco perché “la realtà non esiste”. Sono io che, senza volerlo, mi creo una mia realtà. Quella che mi fa più comodo.

Tom, lo spin doctor del nostro spettacolo, lo sa bene, è un professionista dell’aiutarci a costruire la realtà che fa più comodo a lui, illudendoci che faccia comodo a noi. Le sue armi? Sostanzialmente tre. La prima è il celare parte della realtà, non facendoci vedere il vero. La seconda è il cambiare la realtà, sostenendo il falso. Ma sono due armi incomplete, perché possono essere smascherate. E’ la terza quella tanto micidiale quanto paradossale: il mostrarci il vero.

Semplice: se mostrare il vero riduce una mia dissonanza nella direzione desiderata dallo spin doctor, il gioco è fatto.

Purtroppo il miglior modo per manipolarci è farlo con l’aiuto di noi stessi. Cosa che già facciamo da soli, come nel caso in cui, non soddisfatti del nostro lavoro, troviamo gli argomenti da raccontarci per stare tranquilli.
Ma allora, come uscirne?

Forse proprio qui sta l’importanza del teatro: allo spettacolo compete il porre le domande, a noi il cercare le risposte.

domenica 20 febbraio 2011

Se hai paura di cadere, cadrai.

Vi presento il ponte di Campolungo, fotografato oggi di buon mattino. E' ormai in disuso, costruito parecchi anni fa per permettere ad uno skilift di superare un ripido dislivello.

Quando si veniva trainati sul ponte l'adrenalina saliva perché gli sci si impennavano, la fune del piattello tirava, i bordi scorrevano veloci. C'era un certo pericolo perché non esisteva via di fuga e, se cadevi, un guardiano doveva essere pronto a fermare tutto e venire a soccorrerti.

Io ci sono caduto, una volta. Non ci potevo credere, ma sono caduto. Statisticamente non era probabile cadere: prima di tutto perché chi ci andava era già abbastanza bravo, e poi perché passando sul ponte l'attenzione raddoppiava.

Ed allora perché sono caduto? Perché ero appunto attento a... non cadere. Quando abbiamo paura l'attenzione si concentra sull'oggetto della nostra paura. L'inconscio ci guida sempre verso ciò che occupa la nostra attenzione. Se non riusciamo a riconcentrarla in positivo, essa lavorerà proprio per spingerci verso ciò che non vogliamo, e cioè la cosa di cui abbiamo paura.

Le paure si avverano: se hai paura di cadere, cadrai. Ricordatelo, la prossima volta che devi affrontare una prova importante, una persona difficile, una riunione complessa.


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Il ponte di Campolungo è visibile dalla seggiovia che da Campolungo porta alla cima Motta, in Valmalenco (SO).

sabato 12 febbraio 2011

Il resto è leggenda

Quando qualcuno ci racconta una storia di successo, ad un certo punto arriva ad un punto critico, dove succede qualcosa dopo la quale le cose non sono più come prima, perché il successo esplode. Si tratta dell'ultima cosa fatta da "colui che tenta" prima di entrare nel mondo di "colui che riesce". Di solito la gente tende a vedere solo la seconda parte, e dare per scontato che i successi arrivino grazie ad una sorta di predestinazione o di talento naturale. Ma non è così. C'è tutta una parte di tentativi, di sofferenze, di prove, di insuccessi che nessuno vede. A me, personalmente, ha sempre entusiasmato di più questa prima parte. Perché è la parte che tutti sperimentiamo ogni giorno. E' la parte delle speranze, dei sogni, dei progetti. Qualsiasi sia il motivo che trasforma i progetti in realtà, è la che sta il bello. Tutti coloro che hanno raggiunto dei risultati, guardando indietro hanno nostalgia di quel momento di passaggio. Ma qual è il fattore che può far fare il salto? Ho una sola risposta: il coraggio. I Beatles erano stati forzati ad arrangiare una canzoncina scritta da un autore professionista, era quella che doveva diventare la prima loro hit. I loro pezzi erano stati scartati. Ma in sala di incisione sono arrivati con "Please please me", che il produttore considerava deprimente, completamente rifatta. Hanno insistito con coraggio. Li hanno fatti provare e l'hanno incisa. Si dice che dopo qualche tentativo, George Martin abbia premuto il pulsante dell'interfono ed abbia detto "ragazzi, avete appena inciso la vostra numero uno". Ed il resto è leggenda.
Non so quali siano i tuoi sogni, ma sicuramente dipendono da una scelta coraggiosa. Spero che tu riesca a farla: il resto, per la tua vita, sarà leggenda.

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nella Foto: qual magico momento negli studi di Abbey Road... che invidia Elisa, ci passi davanti tutti i giorni... a proposito: anche tu sei leggenda.