mercoledì 8 dicembre 2010

Inverti la spirale della procrastinazione!

La spirale della procrastinazione funziona così:

l'abbassamento umore determina procrastinazione;
la procrastinazione determina abbassamento dell'autostima; l'abbassamento autostima determina di nuovo abbassamento di umore, e così via.

In sostanza, più l'umore è basso più si tende a rimandare, e più si tende a rimandare più si abbassa l'umore.

E' necessario invertire questa tendenza. Ecco alcuni consigli:

Consiglio 1: qualora si fosse stanchi, riposarsi.

Consiglio 2: se il problema non è la stanchezza, potrebbe essere un eccessivo perfezionismo. Accettare un livello di qualità inferiore da se stessi.

Consiglio 3: se il problema non è la stanchezza o il perfezionismo, potrebbe essere lo scoraggiamento per mancanza di risultati. Trovare un compito alternativo che faccia esprimere le proprie competenze e dia soddisfazione.

Consiglio 4: se il problema non è stanchezza, perfezionismo, mancanza di risultati, potrebbe essere che percepiamo il compito troppo difficile o lungo. Spezzettarlo in compiti più abbordabili.

Qualsiasi sia il consiglio giusto per te, l'importante è bloccare la spirale. La spirale sia alimenta attraverso il "non fare", per cui per invertirla bisogna invece fare" qualcosa. Una volta invertito il senso della spirale della procrastinazione, ecco cosa succede:

l'azione determina risultato; il risultato determina un umore più alto; l'umore più alto determina autostima più alta; l'autostima più alta determina di nuovo azione, e così via.

Se noti, in questa seconda spirale c'è un passaggio in più, quello che interessa l'azione. Ecco perché la spirale positiva richiede più energia...

(C) Diego Agostini/Commitment 2010 - All Rights Reserved

domenica 14 novembre 2010

Dentro o fuori!

Tendiamo a disapprovare chi non sa decidere. Ma non prendere decisioni è un falso problema, perché è impossibile non decidere. Anche la non decisione è in effetti una decisione. Se uno dovrebbe fare una cosa e ritarda nel farla, sta scegliendo di ritardare nel farla. Anche se non ne è consapevole. Se uno non ama una situazione e non la cambia, sta decidendo di tenerla.

Il problema, dunque, non è il non prendere una decisione: c'è piuttosto un problema più grave di cui siamo affetti. E' la non convinzione della decisione presa. Vale a dire: quando siamo in una situazione e non ci piace, in tutto o in parte, se aspettiamo che cambi qualcosa senza fare nulla, la stiamo di fatto accettando. Ma non ne siamo convinti. E così trasformiamo la nostra vita in una sorta di limbo senza senso, dove le cose vengono portate avanti senza convinzione.

Quando non siamo convinti perdiamo energia, ed i risultati tendono al negativo. Ci raccontiamo che stiamo aspettando di prendere la decisione giusta, ma non è così.

Ecco perché, qualsiasi sia la situazione in cui siamo, dobbiamo essere consapevoli che quella è una decisione, e se è una decisione dobbiamo esserne convinti. Dobbiamo essere dentro. Che significa agire come se fosse la migliore scelta che potessimo fare. Altrimenti, se non ne siamo convinti, fuori. Si cambia. Ma purché si agisca convinti.

Perciò, se non sei convinto di una situazione o cambiala o convinciti. Ma non stare lì a raccontarti che devi deciderti, hai già deciso.

(C) Diego Agostini/Commitment, 2010 - All Rights Reserved


sabato 6 novembre 2010

Sei un capo? occhio a come comunichi...

La comunicazione non è uguale per tutti. Il suo impatto è fortemente potenziato dal ruolo che possiede chi comunica.

La regola fondamentale è che maggiore è il potere legato al ruolo, maggiore deve essere l'"understatement" di chi comunica. E' un principio messo a punto da Robert Dilenschneider, guru mondiale del crisis management. In sostanza dice che più hai potere, più devi stare zitto. Una cosa detta da chi ha potere ha un impatto drammaticamente più forte dalla stessa cosa detta da chi non ne ha.

Per questo, se il presidente del consiglio telefona in questura per chiedere informazioni su una persona fermata, non può dire di non aver fatto pressione. Secondo la regola di Dilenschneider, la telefonata stessa è pressione. Il solo fatto di alzare il telefono e fare il proprio nome significa fare pressione.

E poiché qualsiasi comportamento è comunicazione, tutto il comportamento di chi ha potere ha un impatto forte in termini di esempio, perché gli altri regoleranno il loro comportamento in funzione di quello. In marina, ai giovani allievi ufficiali viene detto: "se tu ti siedi, gli altri si sdraiano". Meditate, capi, meditate.

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lunedì 1 novembre 2010

La peggior difesa è l'attacco

Quante volte hai sperimentato l'attacco di qualcuno, sul lavoro o nella vita privata?

Le persone di solito attaccano quando si trovano in una posizione di debolezza. Infatti, se fossero in una posizione di forza non avrebbero bisogno di attaccare per ottenere ciò che vogliono. Attaccando pensano di ottenere di più. Ma sbagliano.

Lo dice anche Karl Von Clausewitz, il maggior stratega militare di tutti i tempi. E' chi si difende che parte da una posizione di vantaggio. Non chi attacca. Le regole di Calusewitz sono state utilizzate nel gioco del Risiko, dove infatti ha la meglio chi si difende.

Pensaci, quando qualcuno ce l'ha con te. Parti dal presupposto che sei in una condizione favorevole, e stai attento piuttosto a non complicare, con la tua reazione, la situazione.

Ma pensaci anche se ti viene voglia di attaccare qualcuno. Rifletti sul fatto che, poiché si deve difendere, parte da una posizione di vantaggio. E, magari, lascia perdere.

(C) Diego Agostini/Commitment, 2010 - All Rights Reserved

domenica 26 settembre 2010

Domande sulla leadership

L'altra sera ho sentito al telefono il mio amico Alessio per motivi di lavoro. Ma prima di affrontare i temi per cui ci stavamo chiamando, ci siamo messi a parlare di leadership. Sostenevo la tesi che la leadership è, prima di tutto, capacità di non scendere a compromessi con se stessi e di esprimere la propria volontà ed i propri desideri.

Poi Alessio mi ha scritto una lunga mail, in cui apre una serie di domande. La trovo bellissima, come tutto ciò che non dà risposte ma fa riflettere. Per questo ne riporto qui di seguito il pezzo più importante.


È un leader chi sa dire di no, o chi accetta di dire di si? È un leader chi manda a quel paese il “sistema” o chi riesce a farne parte? È un leader chi non scende a compromessi (con se stesso, con gli altri), o chi trova il modo di vivere accettandoli? È un leader chi  subisce le proprie intemperanze o chi le controlla? È un leader chi riesce a dialogare con tutti, o chi costruisce barriere?
Se qualcuno non riesce a parlarmi direttamente, e vedo che si tiene tutto dentro, e avverto che c’è una barriera e penso che non sono uno che sa costruire ponti, ma solo muri, so per certo che non sono un leader…
Potrei cercare di giustificare un’esistenza vissuta fuori dagli schemi, dalle convenzioni, probabilmente smettendo di parlare di leadership, di finalità e obiettivi, di influenza e controllo, di affermazione, di riconoscimenti, ma immaginando realmente un mondo senza compromessi. Se pensassi a chi è che vive appieno la propria vita, cambierebbe qualcosa?
Chi vive appieno la propria esistenza, libero da restrizioni e costrizioni? Chi sa dire di no, o chi accetta di dire di si? Chi manda a quel paese il “sistema” o chi accetta di farne parte? Chi non scende a compromessi o chi trova il modo di vivere accettandoli?
Il bello delle domande fatte bene, è che permettono di trovare rapidamente le risposte... grazie Alessio.


(C) Diego Agostini/Commitment - Alessio Mussano 2010 - All Rights Reserved

domenica 19 settembre 2010

Sdrammatizza!

Guarda l'immagine qui vicino. Probabilmente hai già riconosciuto la grafica di quei poster che molti appendono ai muri dei propri uffici per renderli più gradevoli, visto che le foto sono sempre evocative, e per cercare di dare un po' di brio psicologico. Sono i cosiddetti "motivatori".

A me, personalmente, non sono mai piaciuti molto. Li trovo un po' retorici. Ho sempre pensato che se uno ha bisogno di appendere motivatori alle pareti, significa che non è capace di motivarsi e di motivare.

Non sono stato il solo a pensare una cosa del genere: anzi qualcuno è andato oltre. Guarda bene la scritta sotto la parola "motivation". "Se un bel poster ed una scritta carina sono tutto quel che ci vuole per motivarti, probabilmente hai un lavoro molto semplice. Lo potranno fare molto presto dei bei robot". Fantastico. E se vai al sito http://despair.com/viewall.html ne trovarai a decine.

Si tratta dei "demotivatori". Sono poster in tutto e per tutto uguali a quelli motivazionali, ma con frasi che ti lasciano di stucco. Qualche esempio: "Errori - forse lo scopo della tua vita è solo quello di essere monito per gli altri"; "Meetings - nessuno di noi è stupido come tutti noi messi insieme"; "Sfortuna - mentre la buona sorte spesso ti evita, questa invece non ti molla mai".

La despair Inc, che li produce, ha una teoria: i prodotti motivazionali alzano troppo le aspettative e creano ansia,  così questi riportano le aspettative al punto giusto, le riabbassano e paradossalmente fanno recuperare motivazione. Il principio non è sbagliato: siamo motivati quando la realtà è affrontabile e gli obiettivi sono raggiungibili. Se una realtà è idealizzata, la percepiamo come lontana e non ci motiviamo di certo. Per cui va riportata al livello giusto.

In ogni caso, ciò che mi sembra importante è che dobbiamo saper ridere di noi stessi, di quanto spesso siamo idealisti e retorici con i nostri concetti di gioco di squadra, successo, leadership. A volte, sdrammatizzare e sapersi prendere in giro rilascia molte più energie. Sentite questa: "Leader (con la bella immagine di un'aquila) - I leader sono come le aquile. Qui non se ne vedono". Non è fantastico? Buona demotivazione!


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mercoledì 25 agosto 2010

Zoom out!


Quasi sempre, quando c'è un problema, tendiamo a concentrarci troppo su di esso. Ciò intensifica la nostra negatività e la nostra rabbia, peggiorando la situazione.


Ieri il mio bambino è caduto in un gioco-truffa (City Story), scaricando una "app" gratuita dall'iPad, che conteneva in realtà un gioco a pagamento. Inconsapevole che i crediti del gioco erano collegati a denaro reale, ha prelevato 500 dollari dalla carta di credito. Una vile trovata per imbrogliare i bambini, di cui mi meraviglio che la Apple si faccia complice.


Si può immaginare lo stato d'animo di disappunto mio e di mia moglie mentre attivavamo i canali disponibili per risolvere il problema (con il customer care della Apple praticamente inesistente). In questi momenti veramente la negatività può prendere facilmente il sopravvento.


Che fare allora? La risposta è: zoom out. Allargare il campo.


Quando si ha un problema, restringere il campo sul problema non serve a niente. Fa perdere la percezione della realtà. Bisogna inserire il problema in una prospettiva più ampia, per recuperare equilibrio e capacità di giudizio. Zoom out. Ok, rischiamo di perdere 500 dollari. Ma allarghiamo il campo: nessuno si è fatto male, nessuno ha perso il posto di lavoro, la casa c'è ancora. 


Lo zoom out aiuta a riaffrontare il problema con maggiore serenità. Ricordatelo, adesso che stai per tornare dalle vacanze e riaffronterai i problemi di lavoro. Zoom out.




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domenica 22 agosto 2010

100% Fresh guaranteed!


La qualità della nostra vita dipende largamente dalla qualità del nostro pensiero. Il pensiero non riproduce la realtà ma la ricostruisce e ce la ripropone, ed in funzione di questa realtà ricostruita noi reagiamo con fatica o con entusiasmo. TF! esiste proprio per fare in modo che il pensiero possa proporre una realtà utile, e cioè che sia vitaminico e che permetta di generare energia. Ma come garantirsi che il pensiero sia al 100% fresco? 


Il pensiero non è fresco quando è "processato", e cioè modificato in modo che perda le sue vitamine. Esso deve nascere fresco ed essere mantenuto fresco. Ma cosa significa tutto questo?


Il pensiero perde la sua freschezza quando viene sottoposto al filtraggio di tre processi. Questi tre processi impoveriscono le informazioni in entrata e dunque le nostre emozioni, le nostre idee e la nostra motivazione degradano in qualità. E' opportuno dunque evitare questi tre processi. Eccoli qua:
1) Filtraggio mi piace/non mi piace;
2) Filtraggio buono/cattivo;
3) Filtraggio giusto/sbagliato.


Se mentre affrontiamo la realtà sono attivi questi tre processi, le informazioni in entrata vengono ridotte, alterate, distorte. Perderanno la freschezza necessaria a produrre nuove idee, a generare motivazione, a mantenere serenità. Con questi tre processi attivi non daremo alla nostra mente di crescere. Sono processi che attivano difese, e quindi vanno utilizzati solo quando c'è il rischio di una perdita di valore. Ma spesso sono inutilmente sempre attivi.


Manteniamo le vitamine del pensiero! Quando guardiamo la realtà evitiamo di selezionare le informazioni catalogandole in ciò che ci piace o ciò che non ci piace, ciò che è giusto o sbagliato, ciò che buono o cattivo. Vivremo meglio ed avremo il giusto equilibrio per fare le scelte migliori.




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sabato 14 agosto 2010

LMP - Liquid Mind Process


Molti sono rimasti entusiasti da "Mente Liquida" e mi hanno chiesto quali sono le fasi dell'intero LMP. Eccole qui:


1 - Tutto intorno a te si scioglie. Piano piano vedi tutto deformarsi e fondersi diventando liquido.


2 - Interagisci con ciò che ti sta intorno, tocchi la consistenza liquida delle cose e ne senti la temperatura.


3 - Tu stesso a poco a poco ti sciogli e ti fondi con la liquidità che ti circonda


4 - anche la tua mente a poco a poco diventa liquida, indifferenziata dalla liquidità circostante.


Nella fase 2 è opportuno utilizzare sensorialità e creatività, come ad esempio "sentire" il liquido del pavimento sotto i propri piedi quando si cammina. La durata del processo è discrezione di chi lo sperimenta.


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giovedì 12 agosto 2010

Non mi preoccupo, mi occupo


Esattamente un anno fa, la notte del 12 agosto 2009  Ginetta ci lasciava dopo un lungo periodo di sofferenze. La "Zia Ginetta" è stata, oltre che una zia, anche la mia maestra. Bravissima psicologa. E' lei che mi ha insegnato, fin da quando ero giovanissimo, le cose più importanti per capire e migliorare le persone. Alcune sue intuizioni hanno preceduto di decenni alcune scoperte della psicologia positiva.

Quando passavo qualche momento difficile lei non esitava a rendersi disponibile. E quando le dicevo "non proccuparti", mi rispondeva sempre con la stessa frase: non mi preoccupo, mi occupo. Pronta a fare qualcosa, indipendentemente dall'entità del problema. E' così che la ricordo quando penso a lei.

Grazie "Zia Gin", ho avuto una grande fortuna a lavorare con te,  e sappi che ti cito sempre nei miei corsi.

mercoledì 11 agosto 2010

Mente liquida!

La "mente liquida" è uno stato di equilibrio psico-fisico che permette una maggiore serenità, prontezza d'azione, energia. 


Partiamo dalla considerazione che lo stato liquido è una condizione molto importante per la nostra memoria biologica. E' la condizione in cui l'essere umano si trova nel grembo della madre, e dunque lo sperimentarla attiva dei canali primordiali.


Perché di fronte al mare ci rilassiamo? Perché ne osserviamo le onde, ne percepiamo il suono, ne sentiamo il bagnato. La nostra mente entra in risonanza con la realtà esterna e risponde ad essa, assumendone le caratteristiche. Assume lo stato di mente liquida.


E' possibile riprodurre questo stato? Certamente. Con il processo LMP (Liquid Mind Process), che si può attivare in qualsiasi momento e a differenza della altre tecniche di rilassamento non richiede stop, può essere esercitato anche in attività, in qualsiasi momento della giornata. Proviamo subito con lo step di base.


Semplicemente, immagina che tutto di fronte a te, lentamente si sciolga. Gli oggetti che hai intorno diventano liquidi. Li vedi a poco a poco perdere consistenza, deformarsi, fondersi tra di loro esattamente come accade alla cera della candela o ad un gelato. Tutti intorno a te a poco a poco perde la sua forma e diventa liquido. Guardali. Divertiti ad osservarli mentre diventano inconsistenti.


Dopo qualche minuto avvertirai una sensazione di maggiore equilibrio. Il processo induce serenità, in quanto riattiva nella mente le dinamiche naturali del flusso. Induce sdrammatizzazione e senso del presente, in quanto riattiva la consapevolezza dell'impermanenza. Induce positività in quanto riattiva la percezione laterale.



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giovedì 29 luglio 2010

La regola del "cinque a uno"

Ogni contatto con gli altri produce emozioni. Sono queste emozioni a determinare la qualità della relazione. Così, un'emozione positiva indica un livello alto di qualità, mentre una negativa indica un livello basso.


La regola del "cinque a uno" indica qual è il rapporto, perché una relazione sia sana, tra interazioni positive ed interazioni negative. Ciò significa che è assolutamente normale che si sperimentino problemi, scontri, conflitti. Perché le cose vadano bene non significa che debbano andare sempre bene. Anzi. Quando lavoriamo in un team, quando siamo con un collega, quando parliamo con un amico, quando instauriamo una discussione con la moglie, il marito o il figlio è naturale che si possa entrare in una situazione di tensione. 


L'importante è che il numero delle situazioni di tensione, e quindi di emozioni negative sperimentate non superi il valore di soglia. Il valore di soglia è, appunto, una situazione negativa ogni cinque positive. Più sono frequenti le situazioni negative rispetto alle cinque positive, più ci si deve preoccupare. Se si va d'accordo per una-due volte e poi nella terza subito si sperimentano tensioni, è il caso di capire se non ci sia qualcosa che si sta compromettendo e che sia già compromesso.


Tieni monitorata la qualità dell'interazione, e prima di innescare o lasciare innescare un momento di tensione chiediti: quante volte, negli ultimi tempi, abbiamo interagito positivamente? se il numero è meno di cinque, aspetta la prossima volta.


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domenica 20 giugno 2010

Via quelle rotelle!

Quando ho tolto le rotelle alla biciclettina del mio bambino, lui non è stato per niente contento. Anzi, è entrato in ansia. Le rotelle non abituano ad andare in bicicletta, perché bisogna solo pedalare e dirigersi con il manubrio. Se non ci fossero le rotelle il bambino cadrebbe. Ma lui è tranquillo: ci sono loro, e per questo non farà alcuno sforzo per sviluppare il senso dell'equilibrio.

C'è un solo modo per imparare veramente ad andare in bicicletta: avere paura di cadere. Sarà solo in quel momento che ci daremo da fare per stare in equilibrio. Risolvendo il problema, impareremo ad andare in bicicletta.

Le abilità più importati nella vita non si preparano: si producono sul momento del bisogno, quando sono necessarie. Ma quel momento mette ansia, e noi cerchiamo di respingerlo. Il mio bambino, la prima volta che ha sperimentato la bici senza rotelle, mi ha chiesto di rimettergliele. Se lo avessi fatto, non avrebbe mai imparato ad andarci. Ha dovuto quindi affrontare e superare la sua ansia.

Per questo chiediamoci: quali sono le rotelle che in questo momento mi sto tenendo? Come posso fare per smontarle? Sono disposto a vivere qualche inevitabile stato di ansia in più? Se saprò farlo, sarà assicurata la mia crescita personale.

Ecco perché ti dico: affronta proprio le situazioni che vorresti evitare. Lascia che ti levino le rotelle. Oppure toglile tu stesso. In ogni caso: via quelle rotelle!

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sabato 12 giugno 2010

Il campanello delle 3 erre

Ti sarà capitato di sentire suonare un campanello d'allarme, magari in qualche luogo pubblico. La reazione di solito è una pronta attivazione: si cerca di capire se sia capitato qualcosa di importante. Ma nella maggior parte dei casi il campanello suona per niente: magari qualcuno ha aperto inavvertitamente una porta d'emergenza.

Una cosa è certa: se il suono del campanello persiste, dopo un po' crescono il disagio e l'insofferenza. E' dunque opportuno disattivare l'allarme.

Ora, immagina che il suono dell'allarme rimanga attivato per ore, giorni. Non te la prenderesti con colui che lo dovrebbe disattivare? Non riterresti del tutto idiota lasciare suonare per niente un campanello?

Bene, sappi che con il campanello delle tre erre facciamo esattamente così. Il campanello delle tre erre è un campanello interiore, che si attiva non appena nella nostra mente si apre, anche inavvertitamente, una porta di emergenza. Poi però rimane acceso finché non lo disattivi.

Ma che cos'é questo campanello? Le tre erre sono tre sensazioni che già conosci: Rimorso, Rimpianto, Rammarico. Sono rivolte al passato, per cui del tutto inutili. La loro utilità è appunto quella dell'allarme. Si attivano nel presente per segnalare una situazione che potenzialmente potrebbe ripetere esperienze negative passate. Il loro ruolo è quello di evitarci di ripetere errori. Poi però basta: non servono più a niente. Il campanello va spento. E invece noi spesso stiamo li a rimuginare, a ripensare, a martoriarci. In questo caso il campanello non si spegne, rimane acceso. Inutilmente.

Ma come va spento il campanello? Semplice. Quando si attiva una delle tre erre (Rimorso, Rimpianto; Rammarico), se persiste significa che non stiamo lavorando per reagire alla situazione segnalata dall'allarme. Pertanto dobbiamo chiederci: perché si è attivato? Cosa posso fare, anche di minimo, per risolvere il problema attivato? Come per il campanello reale, anche per quello interiore la soluzione è una sola: l'azione.


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sabato 5 giugno 2010

La prova dei fatti.


Nel suo capolavoro Il giovane Holden Salinger descrive una situazione dove una donna si commuove fino alle lacrime in un cinema, durante la proiezione del film. Ma il protagonista avverte: se pensate che quella donna avesse il cuore tenero, vi sbagliate. "Io le stavo vicino, con lei c'era un ragazzino che si annoiava a morte ed aveva bisogno di andare al gabinetto, e lei non ce l'ha voluto portare. Continuava a dirgli stare fermo e di fare il bravo. Aveva il cuore tenero suppergiù come un lupo, accidenti".

Ecco la prova dei fatti. Al di là di ciò che la gente mostra, al di là di ciò che dice, al di là di ciò che ci appare, sottoponiamo gli altri alla prova dei fatti. Verifichiamo noi direttamente la realtà effettiva, prendiamone coscienza anche se non rientra nelle nostre aspettative e nel modo con cui siamo abituati a vederla.

Un amico dice che sei la persona che più stima al mondo ma non ti telefona mai? Il numero di chiamate è la prova dei fatti. Un cliente dice di stimarti immensamente ma utilizza altri fornitori? Quanto ricorre a te è la prova dei fatti. Un capo dice che sei bravo ma dà l'aumento a qualcun altro? Quanti soldi ricevi è la prova dei fatti. Un collega dice di apprezzare il tuo lavoro ma poi prende una decisione che ti penalizza? La decisione che ha preso è la prova dei fatti.

Noi spesso ci fermiamo a quello che ci appare, che ci dicono, che ci fanno credere. Reagiamo all'idea del comportamento dell'altro, non al comportamento effettivo. Perché? Perché spesso abbiamo paura delle conclusioni cui potremmo arrivare. Comincia a sottoporre l'immagine che hai degli altri alla prova dei fatti. Non giudicare tu: lascia giudicare a loro. Vedrai come rapidamente cambierai idea su molte persone.

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mercoledì 2 giugno 2010

L'antidoto per gli attacchi di rabbia

Chi non prova a volte attacchi di rabbia? Io ne ho provato uno ieri, in aereo. Nella fila accanto alla mia c'era un tizio che leggeva Il Giornale, noto quotidiano, nella cui prima pagina svettava il titolo "Israele ha fatto bene a sparare", giustificando una strage di pacifisti condannata in tutto il mondo e ritenuta inutile e sbagliata dagli Israeliani stessi. Avrei voluto prendere quel foglio e stracciarglielo in faccia.

Cosa fare quando siamo assaliti da attacchi di rabbia? Semplice: usare l'antidoto per la rabbia, e questa scompare. L'antidoto per la rabbia si chiama curiosità. Dobbiamo trasformare la rabbia in curiosità. Curiosità allo stato puro.

E così mi sono chiesto: "ma per quale motivo un giornale ha scelto di pubblicare un titolo così offensivo? Cosa avrà spinto il suo direttore ha esprimersi in modo così inutile? Per quale motivo hanno deciso si esporre se stessi ed il noto proprietario ad uno spettacolo così deprimente? E questo tizio, perché mai si beve queste notizie aggressive e manipolate?" Così invece di guardarlo con sospetto, cominciai a guardarlo con curiosità, con lo spirito di chi veramente vuole capire.

Proviamo rabbia quando non capiamo un fenomeno, non lo accettiamo e siamo impotenti di fronte ad  esso. In questo processo la rabbia subentra perché siamo nel ruolo degli attori, ma non possiamo agire. Bene, se non possiamo agire mettiamoci nel ruolo degli spettatori, e cerchiamo di capire. saremo immediatamente più sereni.

Così, più aumentava la curiosità più mi sentivo rilassato e più provavo, in fondo, un senso di pena per quel lettore, per quel direttore di giornale e per quell'editore.

La curiosità ha un grande vantaggio: porta sempre ad una risposta. Che sicuramente è serena, saggia, equilibrata.


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sabato 29 maggio 2010

Surfare tra le emozioni

Tommaso, il partecipante del mio ultimo corso, durante la pausa pranzo della prima giornata si è macchiato con una goccia d'olio. Usando l'acqua  per tentare di risolvere il problema ha ottenuto un bell'alone del diametro di dieci centimetri. Possiamo capire il suo disappunto: doveva, quella sera, uscire con alcuni amici e non voleva tornare a casa a cambiarsi: 50 km per andare e tornare erano decisamente troppi. Decise allora di uscire lo stesso. Tutto sommato sarebbe andato in un locale non troppo illuminato e nonostante l'alone fosse in evidenza, costituiva un vantaggio rispetto alla macchia perché si sarebbe visto di meno.

"Una volta deciso di uscire", raccontò Tommaso il secondo giorno di corso, "non ho più pensato alla macchia ma mi sono concentrato sui miei amici. Della macchia mi sono ricordato solo una volta tornato a casa ed ho passato una bella serata."

Tommaso ha "surfato" da una realtà ad un'altra. La sua attenzione si è spostata da una realtà ad emozionalità negativa (la macchia) ad una realtà ad emozionalità positiva (gli amici).

La tecnica del Reality Transurfing sta nel riconoscere quando un pensiero sta producendo un'emozione negativa. Quel pensiero è come un'onda, che rischia di travolgerci. Ed infatti se rimaniamo fermi ne saremo sopraffatti, finiremo sott'acqua. La nostra abilità sta nello scivolare via, su un'altra onda. Scivolare su una realtà che produca un'emozione positiva.

Prova a surfare. Appena senti arrivare l'onda di un pensiero ad emozionalità negativa sposta la tua mente e le tue azioni verso un altro aspetto della realtà, che produca un'emozione positiva. Vedrai: se imparerai a non stare lì impalato davanti alle onde scoprirai che puoi, surfando, migliorare la tua vita senza l'inutile sforzo di modificare la realtà.


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lunedì 24 maggio 2010

Come attrezzarsi per credere nelle favole

Tempo fa, quando lavoravo in azienda, mi chiamò il mio capo (una donna molto in gamba) per chiedermi di gestire un problema con una persona piuttosto difficile, che avrei dovuto contattare telefonicamente. Mi colpì il modo con il quale mi assegnò l'incarico. Esordì dicendo: "La prima cosa che devi fare, prima di chiamarlo, è andare a prendere un bel tè alla macchinetta, portartelo alla scrivania, rilassarti per bene e prepararti a portare pazienza, una grandissima pazienza,"

Con la sua esperienza, quella donna non mi stava suggerendo cosa dire o come gestire il problema ma mi stava indicando, in modo semplice e chiaro, quale sarebbe stato il presupposto psicologico per entrare in rapporto con quella persona difficile. Mi stava indicando l'attrezzo numero uno per credere nella favola per cui l'altro, per quanto spinoso e complicato, in realtà possa diventare un valido interlocutore, sta a noi crederci e prenderlo per il verso giusto.

La pazienza: non qualche complicata tecnica di programmazione neuro linguistica o altro cervellotico approccio psicologico. La pazienza. Non qualche metodologia manageriale per essere assertivi o per assumere il controllo della situazione. Soltanto la pazienza.

La cosa più importante da sapere è che la pazienza non è qualcosa che si ha o non si ha, è qualcosa che si può fare.

Possiamo produrre pazienza. Basta fermarsi ed aspettare. Da allora mi sono accorto che la pazienza è lo strumento chiave per realizzare gli obiettivi con gli altri. Di solito quando sperimentiamo un comportamento non gradito tendiamo a reagire contrattaccando. Proviamo invece a portare pazienza, convinti che quel comportamento si trasformerà. Ed ecco che la favola si realizza.


(C) Diego Agostini/Commitment 2010 - All Rights Reserved

sabato 15 maggio 2010

Credo nelle favole

Quando ci fidiamo troppo degli altri, ci dicono con sarcasmo che crediamo nelle favole. Fidarsi, partire dal presupposto che persone o situazioni siano positive: questo è credere nelle favole. E dà un sacco di vantaggi. Il mondo intorno a noi ci appare positivo, e se ci appare positivo ne possiamo trarne il meglio. Possiamo entrare in relazione nel modo migliore con tutto ciò che ci circonda: cose o persone.

Credere nella favole è bello. I bambini credono nella favole, ed il loro mondo è sicuramente più bello di quello degli adulti. Quindi perché gli adulti non credono nelle favole? Perché hanno paura di rimanere fregati.  Ma così facendo annullano il bambino dentro di loro, e con lui l'energia che fa realizzare i propri sogni. Ed ecco che la vita diventa grigia, triste, faticosa.

Io credo nelle favole. Parto dal presupposto che le persone siano amiche. E di fregature ne prendo poche.  Perché seguo le istruzioni per credere nelle favole. Eccole:

1) Credo sempre che le persone siano mosse dalle migliori intenzioni.

2) Se dovessi constatare che le persone non sono mosse dalle migliori intenzioni, credo sempre che stiano agendo per debolezza. Quindi le accetto. Penso a come gestire le loro debolezze.

3) Se dovessi constatare che le persone non sono mosse dalle migliori intenzioni né stanno agendo male per debolezza, credo sempre che non abbiano capito nulla. Credo che abbiamo una sorta di handicap. Poi decido cosa fare.

Dopotutto anche nelle favole c'è il cattivo, la differenza con la vita di tutti i giorni è che spesso dobbiamo impiegare un po' di tempo per capire chi è.

(C) Diego Agostini/Commitment - All Rights Reserved

mercoledì 5 maggio 2010

sei tu ad inseguire?

Sono andato a trovare un amico che non vedevo da tempo. Un grande professionista, il migliore che conosca nel suo campo. Purtroppo, a causa del comportamento poco etico di alcuni suoi partner, si trovava nella situazione di dover ricominciare tutto daccapo. Non era più proprietario del marchio che aveva rappresentato per anni e della base clienti che lui stesso aveva costruito.

Mi raccontava pertanto che ora doveva rifare tutto ciò che aveva già fatto vent'anni prima, all'inizio della sua carriera. Telefonare ai potenziali clienti, vedersi trattare con sufficienza, scrivere mail senza ottenere risposta... "Pensavo di non dover fare ancora tutto questo" mi disse.

Ma proprio mentre me lo diceva, notavo una luce nei suoi occhi. Un lampo di vitalità che da un po' di tempo non gli vedevo. Uno slancio che da tempo non aveva. Un'energia che da tempo gli mancava.

Tutti ambiscono a raggiungere una posizione in cui non debano chiedere ma concedere, non debbano corteggiare ma essere corteggiati, non debbano rincorrere ma essere raggiunti. Spesso la gente si siede comodamente su sedie che consentono di poter dire di "no", di ignorare, di assumere posizioni di superiorità. Sono le posizioni più pericolose, perché danno l'illusione di essere arrivati. Danno uno strano senso di onnipotenza che fa dimenticare il rispetto per gli altri.

E' nella posizione in cui bisogna inseguire, in cui bisogna fare fatica per ottenere le cose, che emergono le risorse migliori. E' in quelle posizioni che si tirano fuori l'aggressività positiva, la voglia di arrivare al risultato, la resistenza alle frustrazioni, il coraggio di osare, la capacità di riprendersi e continuare. E' in quelle posizioni che si diventa persone migliori, perché si capisce la fatica di chi chiede e non si nega mai un colloquio, una telefonata, una mail.

Sei tu ad inseguire? Non preoccuparti della fatica e delle frustrazioni. Sarai tu ad arrivare al traguardo, non chi non è nemmeno mai partito.

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venerdì 30 aprile 2010

Chi ti ha invitato alla festa?

Immagina di portare un tuo amico ad una festa. Lui non conosce nessuno e tu gli presenti un po' di persone. vedi che lui si diverte, parla con gli altri, si trova a suo agio. Naturalmente sei contento. Poi scompare, e per tutta la serata non lo vedi più. Ad un certo punto devi andare via e ti preoccupi di farglielo sapere, quindi lo cerchi. Lo trovi coinvolto in una conversazione e a malapena ti risponde. Ti fa capire che se ne tornerà da solo a casa. In poche parole: il tuo amico si è dimenticato di te. Si è dimenticato di chi l'ha invitato alla festa.

Questo succede molto spesso.  Ecco qualche esempio. Mi chiedono se posso acquisire un incarico, non ho tempo di farlo e segnalo un professionista. Fornisco ad entrambi tutte le informazioni anche se non mi viene nulla in tasca. Poi più nulla. Si sono dimenticati di chi li ha invitati alla festa. Lavoro per far incontrare ad un mio amico una persona che può essergli professionalmente utile. Poi non lo sento più. Dopo un po' vengo a sapere che stanno avviando un business insieme. Si sono dimenticati di chi li ha invitati alla festa. Organizzo un incontro fra due amici professionisti che desiderano conoscersi. Due minuti dopo le presentazioni scoprono di conoscere una comune amica, la chiamano divertiti. Sembrano amici da sempre, e neanche menzionano chi li ha messi in contatto. Si sono dimenticati di chi li ha invitati alla festa. Segnalo una persona per un'opportunità di lavoro. Poi non ne so più niente. Comunque sia finita, si è dimenticata di chi l'ha invitata alla festa.

E tu? Quante persone hai invitato a feste che si sono dimenticate di te? Cerca di non farlo con gli altri. Qualunque sia la situazione in cui sei coinvolto, chiediti spesso: chi mi ha invitato a questa festa? E tanto per non sbagliare, ringrazialo, anche se ti sembra di averlo già fatto. Tienilo informato di ciò che fai con chi ti ha presentato. Citalo quando parli con gli interessati. Ricordalo. Chiamalo in causa spesso. Dimostra, se non riconoscenza, almeno apprezzamento. Dopotutto, se sei alla festa e ti diverti, il merito è suo.


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sabato 24 aprile 2010

Quella è leadership

Quando ti trovi a scontrarti con qualcuno per convincerlo di qualcosa che va più a suo che a tuo vantaggio, quella è leadership.

Quando vorresti mandare tutti a quel paese ma poi ti rimbocchi le maniche, quella è leadership.

Quando non accetti lo standard richiesto o condiviso ma detti un tuo livello, quella è leadership.

Quando accetti di non apparire pur di far accadere un risultato in cui credi, quella è leadership.

Quando non ti chiedi "perché... loro..?" ma "come... io...?", quella è leadership.

Quando non ti chiedi perché devi fare qualcosa se gli altri non la fanno, ma la fai e basta, quella è leadership.

Quando lavori per il successo degli altri, e quello diventa il tuo successo, quella è leadership.

Quando non pretendi di essere per forza approvato, ma prosegui nella strada in cui credi, quella è leadership.

Quando l'energia che dai è maggiore di quella che ricevi, quella è leadership.

Quando, mentre fai tutto questo, ti viene da pensare "è pura coglioneria"... ricordati che quella è leadership.


Diego Agostini


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domenica 18 aprile 2010

Forse sei vivo ma non lo sai

A volte ci sentiamo poco rispettati, offesi, forse perfino umiliati.

Quasi sempre, quando ci troviamo in queste situazioni, per una forma di autodifesa cerchiamo di respingere la sensazione sgradevole. Cerchiamo di superarla, di cancellarla, di eliminarla in qualsiasi modo. Cerchiamo di pensare ad altro, di procedere con una reazione, di negare a noi stessi che siamo in difficoltà.

C'è però una considerazione che dobbiamo fare. Le nostre emozioni, belle o brutte che siano, sono l'unica prova che abbiamo, nei confronti di noi stessi della nostra esistenza in vita. Ci avete mai pensato? E' ciò che proviamo il solo elemento che possiede carattere di realtà. Non esiste vita interiore senza emozioni.

Per questo, respingere un'emozione significa respingere il concetto stesso di vita. Anche se l'emozione è negativa. Anch'essa ci dice che ci siamo, che siamo qui, che esistiamo. Anche un'emozione negativa ci dice che siamo vivi. Anzi, soprattutto quella.

Per questo, la prossima volta che ci sentiamo svalorizzati, umiliati, derisi, ignorati invece di negare le nostre sensazioni stiamoci sopra, prolunghiamole, comunichiamo con loro, ascoltiamole, apprezziamole. E mentre facciamo questo pensiamo: "Io sono vivo. Grazie per avermelo ricordato".

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martedì 30 marzo 2010

Forse sei già morto e non lo sai


"Sai, adesso non posso, ..."; "Sono costretto a...."; "Vedi, mi obbligano a..."; "Non ho scelta, devo per forza..."; "Non ho alternativa, devo accettare..."

Quante volte hai sentito frasi come queste? O peggio, quante volte le hai pronunciate tu stesso?

Tutte le volte che mi sento dare spiegazioni del genere, io rispondo "Forse sei già morto e non lo sai". Nella maggior parte dei casi la gente si blocca, quasi sotto choc. Si, lo so, è un po' forte. Ma poi alla fine, quando ne spiego il motivo, i miei interlocutori mi ringraziano.

Quando qualcuno si sente costretto, obbligato, forzato ad accettare una situazione personale o lavorativa che non gli piace, non si accorge di fare un grave errore. Dimentica che, rispetto a quella situazione c'è sempre un'alternativa, bella o brutta che sia, da poter prendere in considerazione. Dimentica che se c'è un'alternativa, egli è all'interno di una scelta. Dimentica che se si trova all'interno di una scelta, di fatto la situazione che sta vivendo è frutto di una sua decisione. Magari spiacevole, ma pur sempre una sua decisione. Che può essere cambiata.

Quando dimentichiamo di poter scegliere, stiamo di fatto rinunciando ad esercitare il libero arbitrio. Il libero arbitrio è l'unico elemento dell'essere umano su cui nessuno, neanche Dio, può intervenire. La scelta non è mai esercitabile dagli oggetti inanimati. La scelta non è più esercitabile una volta morti. Dunque rinunciare alla scelta significa rinunciare alla vita. Significa essere già morti.

Ti senti così imbrigliato in una situazione da essere costretto ad accettarla? Prova a ragionare e vedrai che esistono alternative. Vedrai che puoi scegliere. Altrimenti, mi spiace dover essere io a dovertelo dire, sei già morto.

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sabato 27 febbraio 2010

Come superare una crisi

Bruno è uno dei miei migliori amici, ed è un regista di teatro. Tempo fa si è trovato, durante la preparazione di uno spettacolo, in un momento di crisi. La riscrittura del testo era arrivata ad un punto morto, e le prove con gli attori non stavano funzionando bene. Bruno allora ha chiesto aiuto a Peter, il suo maestro. Peter non gli ha dato a soluzione del problema, ma un consiglio ancora più prezioso.

"Torna al punto di partenza", gli ha suggerito Peter. "Ripensa al momento in cui hai pensato di mettere in scena proprio questa rappresentazione. Pensa al motivo per cui l'hai scelta, a cosa ti ha ispirato. pensa al significato per la tua vita, e a quale messaggio pensavi di lanciare realizzandola". Bruno seguì il consiglio di Peter e grazie a questo trovò delle soluzioni brillanti, che garantirono il grande successo del suo spettacolo.

E' proprio questo il modo migliore per superare una crisi: tornare al punto di partenza. Quando ci impegniamo in un progetto, qualunque esso sia, siamo illuminati ed entusiasti. Dopo un po', però, subentra la stanchezza, il senso di abbandono, la perdite di senso di ciò che stiamo facendo. Questo momento si chiama crisi. Le scelte sembrano difficili, le idee poco chiare, gli sforzi inutili. E' in questo momento che dobbiamo tornare al punto di partenza, e chiederci cosa ci ha motivato nel momento in cui abbiamo fatto iniziare il tutto. E' proprio quello che ci farà trovare la soluzione.

Pensiamoci, tutte le volte che c'è una crisi in un progetto aziendale o personale, tutte le volte che viviamo seri problemi con l'azienda in cui lavoriamo o con il rapporto affettivo che stiamo vivendo. Tornare al punto di partenza ci chiarirà qual è la nostra visione e ci permetterà di capire qual è la scelta migliore.

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sabato 13 febbraio 2010

Cosa rende qualcuno "speciale"?

Qualche giorno fa ho partecipato alla festa della mia nipotina Letizia, che compiva otto anni. Erano naturalmente presenti le sue amichette, della stessa età, che con lei hanno mangiato la torta e scartato i regali. Quando Letizia ha proposto di andare a giocare in uno spazio più grande, tutte hanno seguito l'invito della festeggiata correndo e saltando dietro a lei.

Una sola bambina si è trattenuta vicino ai regali, scartati ed appoggiati a terra. Ad uno ad uno li ha presi, ordinati, inseriti nello zainetto di Letizia e messi al sicuro su una sedia, vicino ad una colonna. Poi anch'ella si è aggregata alle amiche.

Questa bambina ama far funzionare le cose. Ha percepito una potenziale situazione di perdita di valore ed è intervenuta, senza che nessuno glielo chiedesse, per assicurare un risultato positivo. Voleva che la festa di Letizia funzionasse.

Sto svolgendo un importante progetto di "self empowerment" per un'azienda, e nella scelta dei partecipanti abbiamo preferito non privilegiare la bravura nella prestazione. Quando i manager mi hanno chiesto quale criterio dovessero allora utilizzare per individuare le persone giuste, se non i risultati eccellenti, io ho risposto: "mandatemi persone che amano far funzionare le cose". Sono le persone che quando c'è un problema o una necessità non indicano chi la dovrebbe fare, al fanno e basta. Se un collega non sa fare qualcosa, non ha un'informazione o non è motivato, non dicono "compito del capo". Intervengono e lo aiutano. Sono coloro che puntano non solo al proprio risultato ma a quello degli altri. Agiscono sul processo, fanno in modo che non si inceppi e che possa svolgersi al meglio.

E tu? Sei uno di quelli che fronte a qualcosa che non va si giustificano dicendo che la responsabilità è di qualcun altro, o ti chiedi cosa puoi fare per far funzionare le cose? E' proprio questo che ti può rendere speciale.

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sabato 6 febbraio 2010

Hai il coraggio di essere te stesso?


Fai una rapida revisione della settimana appena passata. Quante sono le persone che ti hanno mentito, che non hanno mantenuto le promesse, che hanno distorto l'evidenza, che si sono lamentate di te con altri e di altri con te? Probabilmente molte. Purtroppo il mondo è pieno di comportamenti di questo genere. Di solito chi si comporta in questo modo lo fa perché si crede ( o tenta di essere) più "furbo" degli altri.

Probabilmente questi comportamenti distorti ti hanno fatto provare rabbia o sofferenza. Ebbene, devi sapere che le prime vittime di questi comportamenti sono proprio le persone che li mettono in atto. Non si rendono conto che il danno provocato agli altri corrisponde ad un danno provocato a se stessi. L'errore in cui di solito si cade è credere che il rapporto con se stessi sia separato da quello con gli altri. Ma non è così.

La misura con cui si entra in rapporto con gli altri determina il limite della misura con cui entriamo in rapporto con noi stessi, e viceversa. Se non vogliamo bene agli altri, non vogliamo bene a noi stessi. Facci caso: le persone molto severe con gli altri sono, prima di tutto, severe con se stesse. Entrare in contatto con noi stessi è vitale per la nostra salute fisica e psicologica. Ma ecco che se non sappiamo entrare in contatto con gli altri, questo ci risulterà impossibile.

Osserva chi pensa di essere furbo, chi trova scorciatoie, chi falsifica le carte nella relazione. Ti accorgerai che a poco a poco diventa artefatto, artificiale in tutto ciò che fa. Perfino il suo viso diventa una maschera.

Noi non vogliamo diventare così, vero? Ma come fare per evitare questo? Semplice: essere se stessi. Ma per essere se stessi ci vuole coraggio. Il coraggio di dire "ho sbagliato", il coraggio di ammettere un problema, il coraggio di dire le cose che si pensano, con grande rispetto dell'altro. Il coraggio di dire la verità ed essere franchi. Di non cercare scorciatoie.

Tutto questo ha un nome: autenticità. E il coraggio è necessario, per essere autentici.


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martedì 2 febbraio 2010

Il non fare è peggio di fallire


Prendo spunto da una frase di Max, piaciuta anche a Zewale e Wanda (leggete commenti a post precedente) per un piccolo racconto. Durante un corso di formazione avevo invitato in aula Guglielmo Roggiani, un allenatore di Basket. Durante il suo racconto Guglielmo, dopo aver elencato i suoi successi, aveva raccontato di una finale scudetto persa all'ultimo minuto. Naturalmente non era molto felice mentre descriveva questo sfortunato momento della sua carriera, sul quale a lungo aveva in seguito riflettuto.

Ad un certo punto si alza una mano dal pubblico ed una persona chiede: "ma non è meglio perdere prima, non è meglio uscire dal gioco quando è meno importante? Piuttosto di perdere una finale ed avere questo rimpianto, io preferirei non avere neanche l'opportunità di arrivarci, tanto il risultato è lo stesso ed il vantaggio è l'evitare una frustrazione".

Ci fu un attimo di silenzio. Poi cominciarono i bisbigli. La maggior parte delle persone presenti era d'accordo con lui. Ad un certo punto tutti guardarono l'allenatore per capire cosa ne pensasse. E Guglielmo rispose: "No, assolutamente no! Giocherei ancora cento volte quella finale! La possibilità di giocare una finale dà una soddisfazione enormemente più grande della delusione dell'averla persa!" E dicendo questo dal suo viso era sparito il velo di tristezza, e gli occhi avevano ricominciato a brillare.

Ricordiamocelo, quando evitiamo di giocare le nostre "finali" solo per la paura di perderle. Il non fare è peggio di fallire.

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sabato 30 gennaio 2010

Vuoi realizzare? Preparati ad irrealizzare!


Quando qualcuno eccelle particolarmente in un campo e ne vediamo i successi, tendiamo a pensare che tutto ciò che fa gli riesca particolarmente bene. Ma non è così. Non vediamo tutto il lavoro che permette agli output di successo di diventare tali.

Prendete il regista Tim Burton, per esempio. Tutti più o meno conosciamo i suoi film, perché sono famosi. Ma non conosciamo tutti i lavori che non sono andati a buon fine. Eccone alcuni: Catwoman, Conversations With Vincent, Dinosaurs Attack!, The Fall of the House of Usher, Geek Love, Go Baby Go, Hawkline Monster, Lost in Oz, Mai the Psychic Girl, Mary Reilly, Superman Lives, X: The Man With X-Ray Eyes.

Negli ultimi trent'anni egli ha speso un tempo enorme su progetti falliti. Per tutti i titoli sopra citati è stato svolto un lavoro, spesso complesso, che si è risolto in un nulla di fatto.

La seconda regola per il successo è realizzare. La prima è irrealizzare.

Oggi ho fatto il trasloco degli uffici e tra le carte ho trovato un fascicolo con i miei progetti irrealizzati. Me ne ero completamente dimenticato. Prima di uscire con "Percorsi Positivi", il mio primo libro, i progetti su cui ho lavorato sono stati ben dodici. Dodici! E vi posso assicurare che, rivedendoli, non erano niente male!

Tirate fuori le idee e presentatele, non preoccupatevi se non funzionano: state irrealizzando. E' il primo passo verso il successo. E' il passaggio obbligato per il secondo: realizzare.

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giovedì 28 gennaio 2010

Che cosa vuoi vedere?


L'altro giorno mi ferma un tizio e con disappunto mi dice: "sono andato a vedere il tuo blog... solo che l'ultimo post è di quasi un mese fa". Nel blog ci sono 44 post. Ma lui invece di notare ciò che c'è, nota ciò che non c'é.

In ogni momento della nostra giornata, siamo di fronte ad una scelta. Concentrarci su quello che la situazione ci può dare o su quello che la situazione non ci offre. Ogni qualvolta abbiamo davanti qualcuno, siamo di fronte ad una scelta. Concentrarci su ciò che ha di buono o su quello che non ci piace.

Che ce ne accorgiamo o no, ogni volta scegliamo se guardare il valore delle situazioni o delle persone o se guardare, invece, ciò che manca. Nel primo caso possiamo utilizzare ciò che la realtà ci offre ed averne un vantaggio, mentre nel secondo non solo non faremo nulla, ma cominceremo a lamentarci.

Le opportunità o le carenze sono solo un modo di vedere la realtà. A noi la scelta. Comincio io: di ciò che mi ha detto quel tizio scelgo di non vedere la critica ma il messaggio... e mi impegno a scrivere più spesso!!!

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venerdì 22 gennaio 2010

Come misuri lo sviluppo del tuo business?


Tempo fa lavoravo in una società di consulenza, che per un po' di tempo ha dato buoni risultati di business. Poi, ad un certo punto, è entrata in crisi. Le commesse sono diminuite, i clienti si sono ridotti. Come reazione, il socio fondatore ha cominciato a cercare con affanno qualsiasi progetto, anche di scarsa rilevanza professionale, che potesse compensare il business perso. Quando gli domandai perché lo facesse, lui stupito mi rispose: "perché una società deve sempre crescere di fatturato". Cominciai a capire che era giunta l'ora di andarmene e creare una mia azienda. Era evidente che l'unico parametro dello sviluppo, per lui, erano i soldi.

Già da quando ho iniziato a lavorare io ho sempre usato parametri molto diversi. Attenzione: non che ritenga poco importante il fattore economico. Semplicemente, non lo ritengo l'unico né, una volta assicurata la stabilità dell'impresa, il più importante.

Quando lavoravo in azienda, tempo fa, ho accettato un incarico che prevedeva un trasferimento e, pur con una retribuzione più alta, di fatto perdevo dei soldi. Ma quel lavoro, quell'azienda mi interessavano tantissimo. Ci vedevo delle straordinarie opportunità di crescita della mia professionalità. Questa è la cosa più importante - pensavo. I soldi devono venire dopo.

Ho sempre ragionato così, anche da quando ho fondato la mia struttura. Ed i fatti mi hanno dato ragione. E' paradossale: mettendo il risultato economico in secondo piano, questo cresce. Però bisogna mettere in primo piano le vere cose importanti. Ma quali sono?

Io valuto il mio business con questi tre parametri:

- positività della relazione con il cliente (quanto il tuo cliente è un "compagno di viaggio"?)
- piacere di fare le cose (quanto le tue persone ti dicono "è bello lavorare con te?")
- innovazione nei contenuti (quante cosa stai facendo che l'anno scorso non facevi?)

Se il parametro economico diventa prioritario a questi, la relazione con il cliente si stressa, i rapporti con i collaboratori diventano aggressivi, si tende a fare le sempre le stesse cose perché danno più cassa. E questo ha l'effetto di peggiorare il parametro economico. Se invece esso viene messo dopo i tre fattori chiave, magicamente aumenterà. Provare per credere.

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